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IL GIORNO IN CUI ABOLIRONO LA VERITA'

1/6/2016

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Il giorno che al parlamento abolirono la verità, era un mercoledì.

Il ragionamento era abbastanza semplice. Se le guerre sono causate da due parti che pretendono ognuna di essere nel giusto, abolendo la verità i contendenti sarebbero rimasti senza argomenti e avrebbero fatto la pace.
“Era ora che i nostri rappresentanti si accorgessero delle spinte della società civile” dissero i giornali e le televisioni. “Qui alla verità non crede nessuno da un pezzo, è tempo di prenderne atto”.
Tra politici e intellettuali furono date adesioni e firmati appelli. C’era grande euforia.

La prima stesura fu rifiutata, la seconda respinta. Alcuni in commissione mettevano i bastoni tra le ruote, e da più parti si attribuiva questo ad un conflitto di interesse. “Quelli che credono che la verità esista non dovrebbero prendere parte a questo progetto”, disse un delegato.
Alla fine fu faticosamente presentato un testo condiviso. Uno dei commi prevedeva l’abolizione delle religioni, in quanto strutture ideologiche e guerrafondaie dato che asserivano che la verità esistesse. Ma i capi di quasi tutte, pur di essere autorizzate a sopravvivere, acconsentirono a dichiarare che la loro non era poi tanto una verità, ma un’opinione o un desiderio.
Ci furono due eccezioni: i musulmani, che mugugnarono fino a che un imam non disse che, siccome la verità era comunque decisa da Allah, in fondo quella legge poteva andare bene; e i cattolici. Nella Chiesa ci furono molti che sostennero che essa dovesse adeguarsi ai tempi, ma alla fine non fu accettato nessun compromesso. C’erano dei dogmi, in fin dei conti.

Il clima si surriscaldò, tanto che sembrava che la legge non sarebbe passata. Alcuni radicali si incatenarono ai banchi del Parlamento contro quelli che chiamavano i fondamentalisti del vero: “Dio è un’opinione, e io sono contrario”, gridavano, “Quelli lì sono contro il libero pensiero! Sono liberofobi!”. Alcuni delegati cattolici si inventarono migliaia di emendamenti per prolungare il dibattito.
Per troncare la discussione fu elaborato un maxiemendamento che li annullava tutti. In questo si sosteneva che i dogmi non erano veri, e quindi nessun cattolico poteva dire niente in proposito. Qualcuno lo chiamò Kunguro.

Nonostante mugugni e dissapori il nuovo documento fu votato a maggioranza, dopo che alcune nazioni molto influenti minacciarono sorridenti pesanti ritorsioni per chi non si fosse adeguato. A detta dei vincitori si trattò del più grande passo avanti della democrazia, dato che in questa maniera nessuno si sarebbe più potuto dire migliore degli altri perché aveva ragione.
L’emendamento fu votato anche da alcuni paesi che si dicevano cattolici, ma che si vantarono di avere portato la Chiesa nel futuro. Non è che potessimo farci niente, dissero i loro rappresentanti, è il mondo moderno. Dobbiamo adeguarci.
I titoli dei media furono: “Si apre una nuova era di pace”.

Solo dopo si scoprì che le guerre in realtà sono causate dalla cattiveria; ma era troppo tardi, perché ormai la verità non interessava più a nessuno, e a quelli che avevano il potere meno che mai.
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