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''CROCE E PERDONO''

17/4/2014

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Riflessione sul significato del Triduo Pasquale
''CROCE E PERDONO''


E’ difficile, in questa epoca, parlare e fare riferimento alla Croce di Cristo, ai suoi patimenti, alla sua morte da abietto.

Ancora più difficile se, poi, ci si riferisce al perdono.

In verità, sono due elementi che non si elidono, ma si integrano, si fondono nella certezza della speranza.

Tuttavia, è molto proibitivo, per noi umani, sia pure cristiani e cattolici. sopportare il peso della croce, dei dispiaceri, dei lutti, dei dolori, delle privazioni, delle mortificazioni corporali e spirituali.

Altrettanto problematico, se non impossibile, è chiedere il perdono per le offese rivolte ai nostri fratelli, per quelle ricevute; per le offese e le colpe di cui ci siamo macchiati o siamo stati fatti segno e bersaglio, giustamente o ingiustamente, dai nostri fratelli.

In queste giornate più intense del triduo pasquale, abbiamo bisogno di ritrovare il punto di partenza di tutto il discorso che è Dio, autore del Piano di salvezza riservato ad ogni individuo.

Abbiamo bisogno di ritrovarci in Cristo, coautore dello stesso Piano, ma strumento nelle mani di Dio, esecutore di quella volontà paterna che si chiama redenzione, riscatto, riabilitazione alla vita nuova fatta, possibilmente, di più luce e di meno ombre.

Purtroppo, queste verità ci scomodano, guastano i nostri piani, anche se siamo in un momento di difficoltà, anche se siamo caduti e non sappiamo facilmente rialzarci, pur se vittime della disperazione.

Non capiamo il valore della sofferenza, che è grazia.

Ci facciamo facilmente abbagliare e accecare dall’odio, dalla vendetta, dal senso di rivincita e di rivalsa, da quel falso senso di giustizia divina, riponendo tutto nelle mani di quella umana, o magari, personale.

Dalla Croce scende un messaggio.

Bisogna saperlo cogliere. Cristo, “il Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”, compie il miracolo della morte, prima che quello della vita o della resurrezione, perché accetta volontariamente di offrirsi al Padre. “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito”.

E’ vero, nell’orto del Getsemani aveva provato e chiesto al Padre se fosse possibile non bere quel calice, ma poi disse: “Non la mia ma la tua volontà sia fatta”. In questa frase c’è tutto il Cristo umano, uguale a noi, ma, diversamente da noi, senza alcuna rassegnazione o indebolimento del suo modo di essere, perchè non cede ma accetta volontariamente e coscientemente ciò a cui sta andando incontro.

Quando tutto questo sta per consumarsi, emerge la divinità del Salvatore, quella a cui dovremmo fare riferimento.

“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” è la sintesi dell’amore che Egli manifesta all’umanità che lo ha oltraggiato, offeso, tradito, umiliato e abbandonato, a cominciare dai suoi, dei quali solo uno si trovò al momento del trapasso: Giovanni.

Questa lezione impone delle serie riflessioni sul senso e sul giudizio che, frettolosamente, a volte diamo sulla Chiesa.

Questa è la vera Chiesa.

Quella della fedeltà, fino allo spargimento del sangue.

Questa è la Chiesa a cui dovremmo più spesso guardare, piuttosto che perderci nel giudicare gli altri: gli infedeli, i disonesti, i traditori.

San Giovanni è il vero simbolo e modello di Chiesa. 

Imitiamo lui, perché il resto non conta, anche se Cristo è morto pure per quella parte di Chiesa che non lo segue, che travisa il suo messaggio, che lo interpreta distorcendone il linguaggio.

Ecco, allora, come croce e perdono si incontrano, si incrociano sulla stessa via per dimostrare che tutte e due provengono da Dio per noi.

Sì, per noi che non sappiamo perdonare; che, forse, non siamo tenuti a concedere il perdono, ma quantomeno a chiederlo per gli altri, per coloro che noi vorremmo vedere castigati alle pene dell’inferno e per i quali l’amore disarmante di Cristo è capace di dire: “Oggi sarai con me in Paradiso”.
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