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UNA STORIA DIMENTICATA: HITLER E L’EUTANASIA

26/1/2015

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In Germania sotto il regime nazista venne praticata l’eutanasia su malati terminali e handicappati. Di questo non si parla: forse perché oggi sarebbe imbarazzante per i sostenitori dell’eutanasia ammettere che Hitler aveva la medesima mentalità?

Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria per ricordare le vittime dell’Olocausto. 
Si spenderanno tante parole, ricordando i crimini del nazismo, ma c’è un fatto che nessuno ricorda: dal 1939 al 1941 in Germania vennero eliminate oltre 70.000 persone definite “esistenze prive di valore vitale (lebensunwerte Leben)”. In poche parole: eutanasia. 

Col nazismo questa pratica venne applicata in forma organizzata: il programma di eutanasia negli istituti di cura tedeschi fu applicato affermando il diritto dello Stato all’eliminazione dei malati sofferenti perché persone non più socialmente utili.  Tutto inizia con un provvedimento scritto del Fuhrer il 1 settembre 1939 in cui venivano designati gli incaricati “autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili“. Malati terminali, handicappati vennero eliminati, con l’obiettivo di alleggerire lo Stato da spese per il loro  mantenimento in vita.

Di questo nessuno parla: perché? 

Forse perché l’ideologia che ha mosso Hitler in quella direzione è ancora in circolazione. Secondo Umberto Veronesi “A volte l’eutanasia può essere un gesto di carità” (Corriere della Sera, 16 giugno 2000). E ancora: “Il problema dell’eutanasia esiste… Ci sono inchieste, sondaggi d’opinione… E c’è un migliaio di famiglie distrutte dalla penosa presenza di questi morti-viventi” (La Repubblica, 18 giugno 2000). Quando faceva queste affermazioni, l’illustre scienziato era Ministro della Salute.

La popolazione invecchia, le spese dello Stato aumentano, perché non riproporre l’eutanasia? Lo faremmo per il loro bene! In Olanda e Belgio è legale l’eutanasia sui bambini nati con gravi malformazioni. 
L’importante è non ricordare che fu Hitler il primo a pianificare la “dolce morte”.

Il percorso lo conosciamo:
  • si incomincia ad influenzare l’opinione pubblica, sensibilizzandola sui casi pietosi (ricordiamo il caso Welby?);
  • il mutato clima culturale porta a sentenze dei tribunali (il caso Englaro);
  • l’aumento dei casi di eutanasia spinge a richiedere una legge di regolamentazione della medesima.

Come già accaduto in Olanda, la legalizzazione di questa pratica anche in Italia procederà per gradi:
  • Da principio si chiederà la legalizzazione dell’eutanasia su richiesta del paziente.
  • Ma se il malato non è in grado di manifestare il suo consenso, e preventivamente non ha fatto richiesta di eutanasia, perché non possono essere i familiari a richiederla, qualora ritengano che questo sia giusto per la dignità del malato?
  • Una volta affermato che la vita senza valore socialmente apprezzabile può essere soppressa su richiesta del diretto interessato o dei suoi parenti, ci si chiederà a chi spetta l’onere di prendere la decisione se il paziente è incapace di intendere e di volere e non vi sono familiari.  C’è solo una risposta: la decisione finale spetterà allo Stato, alle strutture sanitarie, forse a un giudice. Dunque l’ultimo gradino di questo percorso sarà quello dell’affermazione della “eutanasia sociale”.

Questo itinerario rende evidente che, partendo dalla battaglia per riconoscere ad ogni individuo il diritto a volere per sé una morte dignitosa, l’obiettivo è quello di affermare che esistono vite senza valore, indegne di essere vissute, e dunque alla legalizzazione dell’eutanasia di Stato.

E’ esattamente quanto accaduto nel 1939 sotto il regime nazista.

Nel Giorno della Memoria, facciamo memoria anche di questo. 

Perché in tema di eutanasia il fantasma di Hitler aleggia ancora sull’Occidente.

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