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SPENDETE QUEL CHE VI PARE MA PORTATEMI IN PARADISO

9/11/2015

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Spendete quel che vi pare ma portatemi in Paradiso
di Andrea Zambrano

Spendete quel che vi pare. Ma portatemi in Paradiso. Avari e faraoni? I preti e i vescovi che ho conosciuto io sono spesso degli spendaccioni che il più delle volte agiscono d'impulso riempiendo le canoniche di cianfrusaglie. Per il solo gusto di non dire di no o di apparire avari, di far sembrare che mancano di qualche attenzione alle loro comunità. Io li conosco questi preti.

Sono stati i preti della mia infanzia, i miei padri nella fede. Avevano sempre la stessa giacca, un po' sciattina, sgualcita e vivevano senza perpetua in stanze fumose mischiate all'odore del ragù abbrustolito. Però quando avevi bisogno aprivano il portafoglio: con una generosità commovente e a volte stupida: fosse per un venditore di fazzoletti magrebino capitato alla porta o per un piazzatore di enciclopedie agiografiche o ammenicoli da sagrestia.

E quando andavi da loro io me la ricordo quella generosità. Se ci fossero oggi e arrivasse un censore dei conti o se qualcuno facesse trapelare da fuori quelle spese, sarebbero messi alla pubblica gogna. Il fatto è che tutti questi preti che io ho conosciuto e che non sono negli elenchi di proscrizione nella nuova caccia di faraoni annidatisi nelle sacre stanze, questi preti di barbe incolte e portafoglio gonfio, ma sempre aperto sapevano parlare della vita eterna e trattavano il denaro con distacco perché consapevoli che non se lo sarebbero portati nell'aldilà.

Ora al prete sono richieste competenze manageriali e se sgarra di qualche euro il bilancio viene trattato come un malfattore. Per di più se viaggia in business. Che se poi il cardinale Pell viaggia in business al limite fa anche bene: ha il fisico di un giocatore di rugby, ce lo vedete stringersi per un'ora di volo nei seggiolini scatoletta di un volo Ryanair? Ma per favore. Siamo diventati bacchettoni con i vescovi che amministrano beni, ma li perdoniamo e li incoraggiamo se dicono eresie o se cercano di deviare dalla retta dottrina facendoci cadere tutti nel baratro. A che giova al vescovo guadagnare il mondo intero, e qualche punto di pil domestico, se poi perde se stesso?

Ché io i soldi glieli lascerei sperperare anche tutti se avessero a cuore solo ed esclusivamente la mia fede. I miei preti erano così, non erano avari ma nemmeno esempi di maniacale razionalizzazione applicata alla pastorale perché sapevano che oltre al portafoglio c'era una vita eterna da conquistare. E a quella si dedicavano. Una volta, prima che il meccanismo dell'8 per mille li rendesse dei funzionari del sacro, i parroci erano acuti amministratori di ingenti fortune parrocchiali costruite con la generosità dei fedeli, ma anche con uno spirito imprenditoriale sano.

Avevano un fondo? Lo davano a lavorare a 3, 4 a volte anche 5 mezzadri. Lo facevano fruttare per sfamare bocche e per promuovere pastorale: campi da calcio, scuole, opere parrocchiali. Tutto era incentrato a far fruttare quel microcosmo che le parrocchie erano.

Infatti non è un caso che quando sul finire della Seconda guerra mondiale i comunisti iniziarono la loro opera di indottrinamento nelle campagne e nei paesi, partirono proprio dall'illudere i contadini che con la vittoria dei Comunisti, i preti latifondisti se ne sarebbero andati via e «diventerete tutti padroni».

Loro intanto continuavano a predicare Gesù, la vita eterna, contro il peccato, tutto il peccato, mica salvaguardando il peccato più alla moda, fedeli e obbedienti alla loro vocazione.

Oggi della vita eterna non se ne parla più e il rischio del clero è quello di mischiarsi con il secolare quel tanto che basta per stravolgere la sua natura. Il caso “Vatileaks due” nasce da questa pretesa da stato di polizia mediatica di cui il clero è succube: «Consegnate i vostri iban e vediamo come gestite il malloppo, che qualche cosa di sconveniente lo troveremo».

Reati finanziari? Macché, sembra che in Vaticano non ce ne sia traccia. Eppure basta una spending reviewfatta alla “viva il parroco” per farli finire sulla graticola. Io sulla graticola vi metterei perché non mi parlate più del Paradiso, non perché occupate appartamenti nobili, i quali tra l'altro ve li siete trovati non perché volevate vivere da boss, con le maniglie d'oro, ma perché in questi secoli la bella arte a Palazzo era un rimando all'eterno che ci aspetta. E siccome il Palazzo Apostolico era il cuore di questo rimando all'eterno doveva essere bello. Perché ciò che è bello è anche buono, dicevano i greci.

Se avete le mani bucate saranno affari vostri e del vostro titolare. Io da voi vorrei commuovermi mentre celebrate messa, vorrei sentirvi parlare della mia poca fede. Non di come utilizzate ingenti risorse per sistemare o accomodare questo o quello. Sono miserie che ci sono sempre state e sempre ci saranno perché l'avarizia, come la generosità, sono vicende umane, troppo umane. Noi vorremmo vedervi attaccati a quel divino che invece in questo nuovo corso molti di voi hanno dimenticato. Spendete quanto volete, ma rivoglio quella tensione verso l'infinito che avete perso abbandonandovi così facilmente tra le braccia del mondo, che adesso, perfido, vi sta presentando il conto: con tanto di ricevuta fiscale e arretrati a bilancio.
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