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Se i tifosi di calcio sono puniti in nome del politicamente corretto

2/3/2014

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di Nando Sanvito

Mi ha sempre colpito che negli stadi italiani 9 volte su 10 il primo coro cronologicamente intonato dal tifo organizzato è sempre controqualcuno prima ancora che di incitamento per qualcuno. Quando c’è di mezzo lo sport, le dinamiche psicologiche si semplificano o, meglio, si esemplificano e tutto è più chiaro. Anche questa storia dei settori chiusi al pubblico negli stadi non fa eccezione, anzi… 

Ricapitoliamo: il calcio italiano per decenni è stato considerato una zona franca rispetto a tutto il resto: si pagano le tasse? Nel calcio si può non farlo…  I reati di danneggiamento si risarciscono di tasca propria? Mai visto tifosi pagare per bagni e seggiolini devastati. Se spacci droga sei a rischio ovunque tranne che sugli spalti di uno stadio. E così anche per le aggressioni. Per fortuna da un po’ di tempo a questa parte si è cambiato registro e questa zona franca ha cominciato a restringere sempre più i suoi confini. L’obiettivo è ridare normalità alla vita da stadio e ripristinare il rispetto per le persone. Anche per questo ora c’è un controllo più rigido sugli striscioni e sui cori. 

Ma qui stavolta il calcio paga dazio al sentire comune, cioè al politicamente corretto. Quali sono le espressioni verbali da censurare? Quelle che il potere culturale oggi ritiene più offensive. 

Quali?  Gli incitamenti o l’apologia delle discriminazioni, siano esse razziali o di altro tipo. Ogni società – si sa - ha la propria sensibilità e, di volta in volta a seconda dell’epoca storica, dei Dieci Comandamenti ne sottolinea qualcuno e ne trascura o censura altri. Oggi gridare “buu” dagli spalti può portare alla chiusura di un settore dello stadio, così come insultare l’origine territoriale o etnica di qualcuno. 

Però se succede – e succede in tutti i turni di campionato – che qualche migliaio di persone urli ripetutamente in coro “Uccideteli” rivolto a giocatori o tifosi avversari, oppure “Devi morire” a un poveraccio finito a terra in campo per aver subito un fallo violento di gioco, allora la trascrizione che ne fa la Procura federale non ha alcuno effetto sulle decisioni del Giudice sportivo, anzi spesso non viene neppure trascritto perché non è un coro razzista. 

E’ meno offensivo della dignità della persona? Assolutamente no! Dal punto di vista della rilevanza penale è una minaccia di morte, un’istigazione a sopprimere un altro, addirittura dovrebbe essere più grave. Alcuni giocatori poi mi hanno confidato di sentirsi più offesi nella loro dignità quando sentono insultati i loro familiari, si sentono cioè più feriti dal coro “figlio di p……” o “tua moglie sta s……” che non da “negro di m….”. 

Questa è l’ipocrisia! Essere costretti a fare una classifica degli insulti, e per di più in base al politicamente corretto. Chiunque è in grado di valutarne l’assurdità, eppure sarebbe così semplice porvi rimedio, senza ricorrere a leggi speciali. Nella vita di tutti i giorni fuori dallo stadio ogni attentato o insulto alla dignità della persona può essere perseguito. Allo stesso modo deve avvenire dentro lo stadio e così magari prima a poi  persino a dei bambini chiamati a sostituire gli ultras (squalificati per cori razzisti) verrebbe meno spontaneo scimmiottare l’idiozia degli adulti, come invece è successo recentemente  in uno dei più  prestigiosi e moderni stadi del nostro Paese.
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