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I CINQUE PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA        PRIMO PRECETTO: PARTECIPERAI ALLA SANTA MESSA TUTTE LE DOMENICHE E LE FESTE COMANDATE

23/8/2014

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I CINQUE PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA

PRIMO PRECETTO: PARTECIPERAI ALLA SANTA MESSA TUTTE LE DOMENICHE E LE FESTE COMANDATE

Ora occuparci di specificare a quali condizioni la partecipazione alla santa Messa è fruttuosa, ovvero non si limita a un semplice formale adempimento di un obbligo ma reca copiosi frutti di santificazione nell’anima, cosa che corrisponde in pieno alle intenzioni di Colui che ha "inventato" questo autentico prodigio per la nostra santificazione.
Prima di occuparci di questa partecipazione, che dal Concilio Vaticano II è stata definita “piena, attiva e consapevole”, dobbiamo specificare quali sono le altre “feste comandate” oltre le domeniche, onde puntualizzare l’esatta determinazione dell’obbligo canonico. 

Nell’attuale calendario e disciplina della Chiesa, le feste di precetto sono le seguenti:
- il primo Gennaio, solennità di Maria Santissima Madre di Dio (purtroppo non di rado dimenticata a causa delle “para-liturgie mondane” del 31 Dicembre…); 
- l’Epifania del Signore (6 Gennaio); 
- la solennità dell’Assunzione (15 Agosto); 
- la solennità di Ognissanti (1 Novembre); 
- le solennità dell’Immacolata (8 Dicembre) e del 
- Natale (25 Dicembre).

Vediamo ora alcune indicazioni per una fruttuosa partecipazione al santo Sacrificio della santa Messa. E' anzitutto sommamente raccomandabile non solo arrivare puntuali, ma possibilmente qualche minuto prima, per avere il tempo di raccogliersi e prepararsi "distaccandosi" (almeno nel cuore e nei pensieri) dalla routine e dal vortice delle occupazioni (e spesso preoccupazioni) della vita quotidiana. 

In Chiesa va osservato un degno contegno esteriore, che significa abbigliamento adeguato e dignitoso, compostezza nei gesti e nella postura, osservanza delle norme liturgiche circa la posizione da tenere nei singoli momenti della santa Messa: in piedi, in ginocchio, o seduti. 

Non bisogna tacciare frettolosamente queste indicazioni di "fariseismo" o "mera esteriorità", perché l'antropologia cattolica rispetta l'unità essenziale e sostanziale tra corpo e anima, per cui, ordinariamente, l'esteriore manifesta l'interiore e, a volte, lo aiuta e lo plasma. 

Se la liturgia mi dice di stare in ginocchio durante la consacrazione, è perché vuole che io adori il mistero del Verbo che discende sull'altare per la mistica immolazione. 
Questa posizione dovrebbe esprimere l'atteggiamento interiore di somma ed estrema riverenza, ma qualora questa fosse impedita da pensieri  e distrazioni, la postura esteriore aiuta l'anima a rientrare in sé, raccogliersi e rendersi conto di quello che accade. 

Similmente lo stare seduti durante la liturgia della parola serve a favorire la concentrazione nell'ascolto, che deve essere accogliente e riverente, di Dio che ci parla e della voce del suo ministro che spiega, attualizza e spezza la Parola proclamata e così via. 

Abbiamo detto che anche l'abbigliamento deve essere adeguato e dignitoso, ovvero osservare i canoni anzitutto della decenza e poi anche della modestia e di una sobria eleganza. 
Chi di noi, se dovesse essere ricevuto dal Presidente della Repubblica, ci andrebbe in ciabatte e shorts? 
Quale donna oserebbe presentarsi davanti al Papa sbracciata, scollata o sgambata? 
Pensiamo sempre, chiosando le parole che nostro Signore disse paragonandosi a Salomone, che ben più del Papa e del Presidente della Repubblica c'è dinanzi a noi nelle nostre Chiese! 

E come sarebbe estrema scortesia (per non dire maleducazione o cafonaggine) arrivare in ritardo ad un appuntamento col Presidente del Consiglio, non si vede come mai con tanta leggerezza le porte delle nostre chiese continuino, fastidiosamente, ad aprirsi e chiudersi fino alla liturgia offertoriale. (e, talora, anche oltre). Possibile che nostro Signore non meriti nemmeno un po' di buona educazione e bon ton?


Durante la santa Messa, oltre che essere sempre attenti e presenti ai vari momenti del rito, evitando di chiacchierare, ridere, distrarsi o girovagare con la testa e con gli occhi, bisogna partecipare attivamente alle preghiere da dire e recitare: le risposte date al sacerdote, il Confiteor e il Gloria, il Sanctus, le acclamazioni varie e, dove eseguiti, partecipare ai canti liturgici. 

Ovviamente il massimo del raccoglimento e della partecipazione interiore spetta (checché ne pensi più di qualcuno) alla seconda parte della Messa, dove la presenza di Dio si fa vera, reale e sostanziale. 

Se poi si è nelle condizioni di poter prendere parte alla santa comunione, si badi di curare anche la preparazione prossima a questo momento, per il quale mi permetto qualche consiglio di natura prettamente personale, imparato dalle tradizioni delle nostre nonne. 
- All'Agnus Dei è bene (anche se non più prescritto nel Novus Ordo) mettersi in ginocchio e, prima di alzarsi per mettersi in fila, recitare l'atto di dolore, per purificare la nostra anima anche dalle più piccole macchie e da eventuali distrazioni o piccole irriverenze compiute durante la sacra liturgia. 
- Durante il tempo in cui si sta in fila è quanto mai opportuno risvegliare il desiderio e la consapevolezza di Chi è Colui che si sta per ricevere, moltiplicando brevi comunioni spirituali del tipo: "Gesù ti amo, nel mio cuore ti bramo", oppure: "Gesù amore, vieni nel mio cuore". Questo per meglio risvegliare la nostra mente ed eccitare i nostri affetti nel preparare una degna accoglienza al Re dei re. 
Ribadisco in questa sede che, pur essendo fino ad oggi consentito dall'attuale disciplina ecclesiale - anche se in via di indulto - ricevere la sacra particola in mano, questa prassi appare molto pericolosa e poco consona ad esprimere l'adorazione dovuta a Colui che riceviamo, per cui è preferibile e consigliabile attenersi alla tradizione millenaria della Chiesa di ricevere l'Ostia direttamente in bocca e - se e ove possibile - in ginocchio. 
- Dopo la Comunione è bene inginocchiarsi e raccogliersi per un primo immediato ringraziamento al Signore, che è bene si protragga per almeno quindici minuti (tale è il tempo medio che impiega il nostro organismo ad assimilare la sacra particola, causando il venir meno della presenza reale di Gesù). 
- E' quanto mai esecrabile la prassi di "scappare" via subito dopo la benedizione senza neanche fermarsi per il canto finale, così come, quando si è ricevuta la santa comunione, omettere il doveroso ringraziamento per il tempo appena indicato. 

Vorrei concludere con una parola sul segno di pace nel rito romano. Questo gesto ha carattere meramente simbolico e non deve diventare occasione di distrazione proprio prima della comunione. Basta scambiare la pace col vicino senza esagerare nel voltarsi o andare a cercare chissà chi. 

A parer di chi scrive, vivendo così la santa Messa, si ha la possibilità di trarne copiosi frutti anche nella nuova forma, che - effettivamente - se mal compresa (o mal vissuta) potrebbe ingenerare o favorire qualche dissipazione o distrazione. Spetta all'ars celebrandi del sacerdote, ma anche all'actuosa participatio dei fedeli, fare in modo di vivere in maniera sacra, santa e dignitosa anche questa nuova forma di celebrazione della santa Messa, conservandone integra e intatta, l'intrinseca, immutabile e infallibile forza  e potenza santificatrice.
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I CINQUE PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA Introduzione

23/8/2014

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I CINQUE PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA

Introduzione

La vita di un figlio di Dio che vive in grazia, oltre che all’osservanza dei dieci comandamenti, è vincolata anche all’esercizio delle virtù cristiane, che la tradizione e il Magistero della Chiesa hanno distinto in morali e teologali, nonché all’osservanza di una serie di precetti che la Chiesa, nella sua qualità di madre premurosa del bene dei suoi figli, si è preoccupata di definire per garantire almeno ad un livello minimale l’adempimento dei doveri essenziali di un cattolico verso Dio. La perfezione della vita cristiana trova inoltre cristallina e mirabile esemplificazione nelle otto beatitudini, che costituiscono la vetta e il culmine del cammino verso la piena santificazione dell’uomo. Alcuni fedeli, infine, sono chiamati dal Signore ad una più piena e perfetta conformazione a Lui attraverso i consigli evangelici, consistenti nei voti di castità, povertà e ubbidienza, che Egli per primo praticò eroicamente sulla terra e che alcuni sono chiamati a vivere non solo nello spirito (cosa doverosa per tutti i fedeli) ma anche nella lettera.
Le virtù teologali sono così chiamate perché sono infuse nell’anima direttamente da Dio e nessun uomo potrebbe, con le sole sue forze, né ottenerle né accrescerle: si tratta della fede, della speranza e della carità, che, infuse nei cuori dei fedeli col sacramento del Battesimo, si consolidano, fortificano e accrescono in misura proporzionale all’uso dei mezzi di grazia (preghiera e sacramenti) e alla corrispondenza alle divine ispirazioni, mentre si indeboliscono fino a potersi perdere completamente in caso di totale assenza di vita interiore da parte del battezzato. Quelle morali trovano la loro espressione principale nelle quattro virtù cardinali, così chiamate perché rappresentano il cardine e l’asse di tutta la vita morale della persona: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Erano conosciute anche dai filosofi pagani (Socrate, Platone e Aristotele ne parlarono e le insegnarono) e, a differenza di quelle soprannaturali, possono essere acquisite dagli uomini (non necessariamente credenti) mediante lo sforzo e la ripetizione costante dei loro atti. Le otto beatitudini sono il cammino per la piena felicità “spirituale” (che comincia su questa terra) e conformano in modo radicale a Cristo Salvatore: la povertà di spirito, lo spirito di cristiana penitenza, la mansuetudine profonda, il desiderio profondo della santità, la misericordia, la purezza di cuore, il portare la pace e l’essere pronti a tutto pur di rimanere fedeli alla via della verità sono le disposizioni stabili che rifulgono nei santi, in quanto esprimono il dominio pieno e integrale sulle più basse e più funeste passioni insite nel cuore dell’uomo decaduto dopo la colpa d’origine. La professione dei consigli evangelici, infine, pone il fedele nel cosiddetto “stato di perfezione”, ossia in una condizione in cui si trovano tutti i mezzi per raggiungere una perfetta imitazione di Cristo, ferma restando la libertà del consacrato ed il suo dovere di corrispondere generosamente all’altezza ed eccellenza delle grazie ricevute.
Dall’approfondimento di tutte queste tematiche speriamo che emerga l’immagine del perfetto soldato di Cristo, pronto e ben armato nel rendere un’esemplare testimonianza di coerenza e di fedeltà, attraverso l’osservanza perfetta della legge di Dio, la fuga da ogni vizio e peccato, la pratica sempre più intensa degli atti di virtù, impregnati dello spirito delle beatitudini evangeliche. In questa prospettiva i consacrati dovrebbero rappresentare una sorta di “avanguardia” dell’esercito di Dio, sempre alla condizione che corrispondano fedelmente e generosamente all’altezza della loro vocazione. Per la prossimità della trattazione rispetto a quella dei comandamenti, di cui rappresenta una sorta di corollario, mi sembra opportuno iniziare con l’approfondimento dei cinque precetti generali della Chiesa.
E’ anzitutto necessario chiarire che la Chiesa ha il diritto, il dovere e il potere di imporre leggi e precetti, vincolanti in coscienza, ai propri figli. Questo potere è stato dato dal Signore Gesù in persona sia personalmente e singolarmente a san Pietro (Mt 16,19) che agli apostoli come collegio (cf Mt 18,18) e si trasmette, integro e intatto, ai loro legittimi successori (il sommo Pontefice e il collegio episcopale). Un potere tanto serio e incisivo che viene ratificato dal cielo stesso, secondo le medesime parole di nostro Signore che afferma perentoriamente: “quello che legherete sulla terra sarà legato nei cieli e quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 18,18). In termini canonici, questo potere dà origine alla cosiddetta “potestà di giurisdizione”, che, unitamente a quella prettamente sacerdotale (“potestà d’ordine”) finalizzata all’amministrazione dei sacramenti, costituisce l’essenza della pienezza del sacerdozio, che viene comunicata ai membri del clero con il sacramento dell’episcopato, che è il massimo grado dell’ordine sacro e che conferisce le potestà apostoliche in tutta la loro ampiezza e portata.

Esempi di esercizio della potestà di giurisdizione, solo per fare qualche esempio, sono la facoltà di comminare la scomunica per certi gravissimi peccati, la facoltà di stabilire leggi e regole per il degno e corretto espletamento della liturgia, la potestà di definire autorevolmente determinate verità di fede e di morale, la concessione di indulgenze, etc. I cinque precetti generali della Chiesa rappresentano la demarcazione normativa del minimo indispensabile a cui un fedele cattolico deve impegnarsi per ritenere sostanzialmente adempiuti i suoi doveri verso Dio e la Chiesa, onde non mettere a repentaglio serio la salvezza della propria anima. Essi sono così formulati: 1) Parteciperai alla santa Messa tutte le domeniche e le feste comandate; 2) Confesserai tutti i tuoi peccati almeno una volta all’anno e ti comunicherai almeno a Pasqua; 3) Santificherai con il digiuno e la penitenza i giorni stabiliti dalla Chiesa; 4) Sovvenirai alle necessità anche materiali della Chiesa in proporzione alle tue possibilità; 5) Non celebrerai in modo solenne le nozze nei tempi penitenziali. Dal prossimo articolo cominceremo ad approfondirli punto per punto. Terminata la loro trattazione ci occuperemo dapprima delle virtù e dei vizi, poi delle beatitudini e infine dell’eccellenza dei consigli evangelici..
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