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IL MONDO, LA CARNE E IL DIAVOLO

29/6/2021

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LETTERA APERTA dell'Arciv. Carlo Maria Viganò
IL MONDO, LA CARNE E IL DIAVOLO

''Scitote quoniam Dominus ipse est Deus: Ipse fecit nos, et non ipsi nos''.
''Sappiate che il Signore è Dio: ci ha fatti, e non noi stessi''. Sal 99,3

I nemici della nostra anima sono sempre gli stessi, e le insidie che ci tendono sono sempre le stesse. Il mondo, con le sue seduzioni; la carne, corrotta dal peccato originale e incline al male; e il diavolo, l’eterno nemico della nostra salvezza che si serve della carne per assediarci. Due nemici esterni e uno interno, sempre pronti a farci cadere in un momento di distrazione, di debolezza. Questi nemici spirituali accompagnano ognuno di noi dall’infanzia alla vecchiaia, e tutta l’umanità lungo le generazioni e le epoche.

Gli alleati su cui possiamo contare per sconfiggere il mondo, la carne e il diavolo sono la Grazia di Dio, la frequente ricezione dei Sacramenti, l’esercizio delle Virtù, la preghiera, la penitenza, la considerazione dei Novissimi, la meditazione della Passione del Signore e il vivere alla Sua presenza.

In quest’epoca ribelle e scristianizzata, in cui la società non solo non ci aiuta a perseguire il nostro fine ultimo, ma anzi fa di tutto per allontanarci da esso, l’autorità civile ci fa seguire il mondo, indulgere ai desideri della carne e servire il Nemico della razza umana. È un’autorità perversa e pervertitrice, che ha fallito nel suo dovere di governare e governare il corpo sociale per condurre gli individui alla salvezza eterna. Al contrario, essa nega la salvezza eterna, rifiuta l’Autore Divino e adora l’Avversario.

Non c’è quindi da meravigliarsi se questa modernità apostata, in cui l’azione illegale è la norma e il vizio viene offerto come esempio da imitare, vuole cancellare ogni traccia di Dio e del Bene nella società e negli individui, facendo un patto infernale con il mondo, la carne e il diavolo. Questo è ciò che vediamo accadere nella sfacciata promozione della sodomia, la perversione del vizio in tutte le sue forme più abiette, e nella derisione, delegittimazione e condanna della purezza, della rettitudine e della virtù.

Ma se oggi la nostra lotta quotidiana contro i nostri nemici deve includere anche uno sforzo titanico di lotta contro lo Stato, che dovremmo poter considerare nostro amico e che invece lavora per corromperci fin dalla più tenera età, è doloroso e tragico vedere altri traditori e mercenari unirsi a questo assedio: Pastori malvagi che abusano della sacra autorità che hanno ricevuto da Nostro Signore per spingerci verso la dannazione, per convincerci che ciò che fino a ieri era considerato peccaminoso e indegno di chi è stato redento dal Sangue di Cristo è ora diventato lecito e buono.

Lo spirito mondano, l’asservimento alla concupiscenza e – cosa ancora più grave – il rifiuto di lottare contro il Maligno hanno infettato gran parte della Gerarchia della Chiesa Cattolica, fino ai suoi più alti livelli, rendendola nemica di Dio, della Sua Legge e delle nostre anime. Come è successo con l’autorità civile, così anche l’autorità religiosa ha abdicato al suo giusto ruolo, rinnegando lo scopo stesso per cui è stata voluta dalla Divina Provvidenza.

La novità di questa perversione dell’autorità, che preannuncia lo scontro epocale dei Tempi Finali, sta proprio nella corruzione dei Pastori e nel fatto che i singoli membri dei fedeli, come un gregge senza capo, si trovano a dover resistere eroicamente a un assalto alla Cittadella su più fronti, in cui sono stati abbandonati dai loro capi, che stanno aprendo le porte e permettendo alle orde nemiche di entrare per sterminarci.

La discussione sulla proposta di legge Zan, l’imposizione dell’ideologia LGBTQ+ e l’indottrinamento della teoria gender in Italia segue un piano mirato organizzato a livello globale, che in molte nazioni è già stato portato a compimento. Nazioni in cui, anche dopo due secoli di rivoluzioni, l’impronta del cattolicesimo era sopravvissuta nel tessuto sociale, ora si sono completamente paganizzate. Le bandiere arcobaleno sventolano non solo sulla facciata delle istituzioni pubbliche, ma persino sulle facciate delle cattedrali, sui balconi delle residenze dei vescovi e persino all’interno delle chiese.

In tempi recenti – anche solo trent’anni fa – si diceva da alcuni che per sostenere una minoranza di persone traviate dal vizio e per difenderle dalla discriminazione, lo Stato doveva intervenire con forme di protezione e garanzie della loro libertà. Col senno di poi, questa era un’affermazione irragionevole e illogica, perché la libertà della persona umana consiste nell’adesione della volontà al bene a cui è ordinata la sua natura e nel perseguimento del suo fine materiale e soprannaturale. Ma nel grande inganno con cui il Diavolo ha sempre cercato di allettare l’uomo, questo apparente pretesto ha sedotto molti. Sembrava che fosse necessario il coraggio di rivendicare il diritto al vizio e al peccato contro la crudele durezza di una “maggioranza rispettabile” ancora legata ai precetti della Religione. Si rivendicava l’orgoglio di essere diversi in un mondo di uguali, di avere diritto a uno spazio per il vizio in un “mondo virtuoso”.

In quegli anni, la Chiesa levava ancora, forse con meno convinzione ma sempre fedele al suo mandato divino, la voce del magistero immutabile per condannare la legittimazione di comportamenti intrinsecamente disordinati. Attenta alla salvezza eterna delle anime, ella vedeva quali disastri avrebbero colpito la società con l’approvazione di stili di vita totalmente antitetici alla Legge Naturale, ai Comandamenti e al Vangelo. I Pastori sapevano essere coraggiosi difensori del Bene, e i Papi non avevano paura di diventare oggetto di attacchi indecorosi da parte di coloro che vedevano in loro il katechon che impediva la corruzione definitiva del mondo e l’instaurazione del Regno dell’Anticristo.

Oggi quell’eroica battaglia – che abbiamo appreso essere già indebolita da un’estesa corruzione interna di Vescovi e sacerdoti – sembra non avere più senso, così come non sembra avere più senso l’insegnamento della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa e dei Romani Pontefici. Chi siede a Roma è circondato da persone immorali che strizzano l’occhio ai movimenti LGBTQ+ e simulano ipocritamente un’accoglienza e un’inclusività che tradisce la loro scelta di campo e le loro tendenze peccaminose. Non c’è più coraggio; non c’è più fedeltà a Cristo; e si è arrivati al punto di insinuare che, se Bergoglio è stato capace di cambiare la dottrina sulla pena capitale – cosa inaudita e assolutamente impossibile – sarà certamente capace anche di rendere lecita la sodomia in nome di una carità che non ha nulla di cattolico e che è ripugnante alla Rivelazione Divina.

Le processioni blasfeme che sfilano per le strade delle capitali del mondo, e che sono arrivate al punto di bestemmiare e deridere perfidamente il Sacrificio di Nostro Signore nella Città Santa consacrata dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo, sono accolte dai mercenari della setta conciliare, che tace davanti alle sacrileghe benedizioni delle coppie omosessuali ma condanna come “rigidi” coloro che vogliono rimanere fedeli all’insegnamento del Salvatore. E mentre i buoni Vescovi e sacerdoti si confrontano quotidianamente con la demolizione che viene dall’alto, vediamo pubblicate le incantevoli e seducenti parole scritte da Bergoglio a James Martin, SJ, a sostegno di un’ideologia perversa e pervertente che offende la Maestà di Dio e umilia la missione della Chiesa e la sacra autorità del Vicario di Cristo.

Come Successore degli Apostoli e Maestro della Fede, in spirito di vera comunione con la Sede del Santissimo Pietro e con la Santa Chiesa di Dio, rivolgo loro un severo avvertimento, ricordando che la loro autorità deriva da Gesù Cristo, e che ha forza e valore solo se rimane orientata al fine per cui Egli l’ha costituita. Che questi Pastori considerino gli scandali che causano ai fedeli e ai semplici, e le ferite che infliggono al tormentato corpo ecclesiale – scandali e ferite di cui dovranno rispondere alla Giustizia Divina nel giorno del loro Giudizio Particolare e anche davanti a tutto il genere umano nel giorno del Giudizio Universale.

Esorto i numerosi fedeli scandalizzati e sconcertati dall’apostasia dei Pastori a moltiplicare le loro preghiere con uno spirito soprannaturale di preghiera e di penitenza, implorando il Signore che si degni di convertire i mercenari, riconducendoli a Sé e alla fedeltà al Suo divino insegnamento. Preghiamo la Madre Purissima, la Vergine delle Vergini, di ispirare sentimenti di pentimento nei ministri che sono stati corrotti dal peccato e dall’impurità, affinché considerino l’orrore dei loro peccati e le terribili pene che li attendono: possano rifugiarsi nelle Santissime Piaghe di Cristo ed essere purificati dal lavabo del Sangue dell’Agnello.

Ai nostri fratelli sedotti dal mondo, dalla carne e dal demonio, rivolgo un accorato appello, affinché comprendano che non c’è orgoglio nell’offendere Dio, nel contribuire consapevolmente ai tormenti della Sua Passione, nel pervertire la propria natura e rifiutare malvagiamente la salvezza che Egli ha ottenuto da Suo Padre attraverso la Sua morte sul legno della Croce. Fate delle vostre debolezze un’occasione di santità, un motivo di conversione, un’opportunità per far risplendere la grandezza di Dio nella vostra vita. Non lasciatevi ingannare da un Nemico che oggi sembra assecondare i vostri vizi con la sola intenzione di rubarvi l’anima e dannarvi per l’eternità. Siate orgogliosi, veramente orgogliosi: non della schiavitù al peccato e alla perversione, ma di aver saputo resistere alle seduzioni della carne per amore di Gesù Cristo. Pensate alla vostra anima immortale, per la quale il Signore non ha esitato a soffrire e morire. Prega! Prega Maria Santissima, affinché interceda presso il suo Figlio Divino, dandoti la Grazia di resistere, di combattere e di vincere. Offrite le vostre sofferenze, i vostri sacrifici, i vostri digiuni al Signore per ottenere quella libertà dal Male che il Seduttore vuole togliervi con l’inganno. Questo sarà il vostro vero orgoglio e anche il nostro.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

29 giugno 2021
​SS. Apostolorum Petri et Pauli
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ROMA SENZA PAPA

24/2/2021

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Roma è senza papa. La tesi che intendo sostenere si riassume in queste quattro parole. Quando dico Roma non mi riferisco solo alla città di cui il papa è vescovo. Dico Roma per dire mondo, per dire realtà attuale.
Il papa, pur essendoci fisicamente, in realtà non c’è perché non fa il papa. C’è, ma non svolge il suo compito di successore di Pietro e vicario di Cristo. C’è Jorge Mario Bergoglio, non c’è Pietro.

Chi è il papa? Le definizioni, a seconda che si voglia privilegiare l’aspetto storico, teologico o pastorale, possono essere diverse. Ma, essenzialmente, il papa è il successore di Pietro. E quali furono i compiti assegnati da Gesù all’apostolo Pietro? Da un lato, “pasci le mie pecorelle” (Gv 21:17); dall’altro, “tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16:19).

Ecco che cosa deve fare il papa. Ma oggi non c’è nessuno che svolga questo compito. “E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli nella fede” (Lc 22:32). Così dice Gesù a Pietro. Ma oggi Pietro non pasce le sue pecorelle e non le conferma nella fede. Perché? Qualcuno risponde: perché Bergoglio non parla di Dio, ma solo di migranti, ecologia, economia, questioni sociali. Non è così. In realtà Bergoglio parla anche di Dio, ma dall’insieme della sua predicazione esce un Dio che non è il Dio della Bibbia, ma un Dio adulterato, un Dio, direi, depotenziato o, meglio ancora, adattato. A che cosa? All’uomo e alla sua pretesa di essere giustificato nel vivere come se il peccato non esistesse.

Bergoglio ha certamente messo al centro del suo insegnamento i temi sociali e, tranne sporadiche eccezioni, appare in preda alle stesse ossessioni della cultura dominata dal politicamente corretto, ma ritengo che non sia questo il motivo profondo per cui Roma è senza papa. Anche volendo privilegiare i temi sociali, si può comunque avere una prospettiva autenticamente cristiana e cattolica. La questione, con Bergoglio, è un’altra, e cioè che la prospettiva teologica è deviata. E per un motivo ben preciso: perché il Dio di cui ci parla Bergoglio è orientato non a perdonare, ma a discolpare.

In Amoris laetitia si legge che la “Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili”. Mi spiace, ma non è così. La Chiesa deve convertire i peccatori.

Sempre in Amoris laetitia si legge che “la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio”. Mi spiace, ma sono parole ambigue. Nelle situazioni che non corrispondono al suo insegnamento ci saranno pure “elementi costruttivi” (ma, poi, in che senso?), tuttavia la Chiesa non ha il compito di valorizzare tali elementi, bensì di convertire all’amore divino al quale si aderisce osservando i comandamenti.

In Amoris laetitia leggiamo anche che la coscienza delle persone “può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo”. Di nuovo l’ambiguità. Primo: non c’è una “proposta generale” del Vangelo, alla quale si può aderire più o meno. C’è il Vangelo con i suoi contenuti ben precisi, ci sono i comandamenti con la loro cogenza. Secondo: Dio mai e poi mai può chiedere di vivere nel peccato. Terzo: nessuno può rivendicare di possedere “una certa sicurezza morale” circa ciò che Dio “sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti”. Queste espressioni fumose hanno un solo significato: legittimare il relativismo morale e prendersi gioco dei comandamenti divini.

Questo Dio impegnato più che altro a scagionare l’uomo, questo Dio alla ricerca di attenuanti, questo Dio che si astiene dal comandare e preferisce comprendere, questo Dio che “ci è vicino come una mamma che canta la ninna nanna”, questo Dio che non è giudice ma è “vicinanza”, questo Dio che parla di “fragilità” umane e non di peccato, questo Dio piegato alla logica dell’”accompagnamento pastorale” è una caricatura del Dio della Bibbia. Perché Dio, il Dio della Bibbia, è sì paziente, ma non lassista; è sì amorevole, ma non permissivo; è sì premuroso, ma non accomodante. In una parola, è padre nel senso più pieno e autentico del termine.

La prospettiva assunta da Bergoglio appare invece quella del mondo: che spesso non rifiuta del tutto l’idea di Dio, ma ne rifiuta i tratti meno in sintonia con il permissivismo dilagante. Il mondo non vuole un vero padre, amorevole nella misura in cui è anche giudicante, ma un amicone; anzi, meglio ancora, un compagno di strada che lascia fare e dice “chi sono io per giudicare?”.

Ho scritto altre volte che, con Bergoglio, trionfa una visione che ribalta quella reale: è la visione secondo cui Dio non ha diritti, ma solo doveri. Non ha il diritto di ricevere un culto degno, né di non essere irriso. Però ha il dovere di perdonare. Al contrario, secondo questa visione, l’uomo non ha doveri, ma solo diritti. Ha il diritto di essere perdonato, ma non il dovere di convertirsi. Come se potesse esistere un dovere di Dio a perdonare e un diritto dell’uomo a essere perdonato.

Ecco perché Bergoglio, dipinto come il papa della misericordia, mi sembra il papa meno misericordioso che si possa immaginare. Trascura infatti la prima e fondamentale forma di misericordia che compete proprio a lui e a lui solo: predicare la legge divina e, così facendo, indicare alle creature umane, dall’alto dell’autorità suprema, la strada per la salvezza e la vita eterna.

Se Bergoglio ha concepito un “dio” di questo genere – che volutamente indico con la minuscola, poiché non è il Dio Uno e Trino che adoriamo – è perché per Bergoglio non vi è alcuna colpa di cui l’uomo debba chiedere perdono, né personale né collettiva, né originale né attuale. Ma se non vi è colpa, non vi è nemmeno Redenzione; e senza necessità di Redenzione non ha senso l’Incarnazione, e tantomeno l’opera salvifica dell’unica Arca di salvezza che è la Santa Chiesa. Vien da chiedersi se quel “dio” non sia piuttosto la simia Dei, Satana, che ci spinge verso la dannazione proprio nel momento in cui egli nega che i peccati e i vizi con i quali ci tenta possano uccidere la nostra anima e condannarci all’eterna perdita del Sommo Bene.
Roma è dunque senza papa. Ma se nella distopia vaticana di Guido Morselli (il romanzo intitolato appunto Roma senza papa) lo era fisicamente, perché quel papa immaginario se n’era andato a vivere a Zagarolo, oggi Roma è senza papa in un modo ben più profondo e radicale.

Avverto già l’obiezione: ma come puoi dire che Roma è senza papa quando Francesco è ovunque? È in tv e nei giornali. È stato sulle copertine di Time, Newsweek, Rolling Stones, perfino di Forbes e Vanity Fair. È nei siti e in un’infinità di libri. È intervistato da tutti, addirittura dalla Gazzetta dello sport. Forse mai un papa è stato così presente e così popolare. Rispondo: tutto vero, ma è Bergoglio, non è Pietro.

Che il vicario di Cristo si occupi delle cose del mondo non è certo vietato, anzi. Quella cristiana è fede incarnata e il Dio dei cristiani è Dio che si fa uomo, che si fa storia, dunque il cristianesimo rifugge dagli eccessi di spiritualismo. Ma una cosa è essere nel mondo e un’altra è diventare come il mondo. Parlando come parla il mondo, e ragionando come ragiona il mondo, Bergoglio ha fatto svaporare Pietro e ha messo se stesso in primo piano.

Ripeto: il mondo, il nostro mondo nato dalla rivoluzione del Sessantotto, non vuole un vero padre. Il mondo preferisce il compagno. L’insegnamento del padre, se è vero padre, è faticoso, perché indica la strada della libertà nella responsabilità. Molto più comodo è avere accanto qualcuno che si limita a farti compagnia, senza indicare nulla. E Bergoglio fa proprio questo: mostra un Dio non padre, ma compagno. Non a caso alla “chiesa in uscita” di Bergoglio, come a tutto il modernismo, piace il verbo “accompagnare”. È una chiesa compagna di strada, che tutto giustifica (attraverso un concetto distorto di discernimento) e tutto, alla fine, relativizza.

La riprova sta nel successo che Bergoglio riscuote tra i lontani, i quali si sentono confermati nella loro lontananza, mentre i vicini, disorientati e perplessi, non si sentono affatto confermati nella fede.

Gesù in materia è piuttosto esplicito. “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6, 26). “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo” (Lc 6, 22).

Ogni tanto torna alla ribalta una voce secondo cui anche Bergoglio, come Benedetto XVI, penserebbe di dimettersi. Io credo che non abbia in programma nulla di simile, ma il problema è ben altro. Il problema è che Bergoglio si è reso protagonista, di fatto, di un processo di dismissione dai compiti di Pietro.

Ho già scritto altrove che Bergoglio è ormai diventato il cappellano delle Nazioni Unite, e ritengo che questa scelta sia di una gravità inaudita. Tuttavia, ancora più grave della sua adesione all’agenda dell’Onu e al politicamente corretto è che abbia rinunciato a parlarci del Dio della Bibbia e che il Dio al centro della sua predicazione sia un Dio che discolpa, non che perdona.

La crisi della figura paterna e la crisi del papato vanno di pari passo. Così come il padre, rifiutato e smantellato, è stato trasformato in un generico accompagnatore privo di qualsiasi pretesa di indicare una strada, allo stesso modo il papa ha smesso di farsi portatore e interprete dell’oggettiva legge divina ed ha preferito diventare un semplice compagno.

Pietro, così, è svaporato proprio quando avevamo più bisogno che ci mostrasse Dio in quanto padre a tutto tondo: padre amorevole non perché neutrale, ma perché giudicante; misericordioso non perché permissivo, ma perché impegnato a mostrare la strada del vero bene; pietoso non perché relativista, ma perché desideroso di indicare la via della salvezza.

Osservo che il protagonismo nel quale indulge l’ego bergogliano non è una novità, ma risale in buona parte alla nuova impostazione conciliare, antropocentrica, a partire dalla quale papi, vescovi e chierici hanno anteposto se stessi al loro sacro ministero, la propria volontà a quella della Chiesa, le proprie opinioni all’ortodossia cattolica, le proprie stravaganze liturgiche alla sacralità del rito.

Questa personalizzazione del papato è diventata esplicita da quando il Vicario di Cristo, volendo presentarsi come “uno come noi”, ha rinunciato al plurale humilitatis con il quale dimostrava di parlare non a titolo personale, ma assieme a tutti i suoi predecessori e allo stesso Spirito Santo. Pensiamoci: quel Noi sacro, che faceva tremare Pio IX nel proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione e san Pio X nel condannare il modernismo, non avrebbe mai potuto essere usato per sostenere il culto idolatrico della pachamama, né per formulare le ambiguità di Amoris laetitia o l’indifferentismo di Fratelli tutti.

Circa il processo di personalizzazione del papato (al quale l’avvento e lo sviluppo dei mass media hanno dato un importante contributo), occorre ricordare che vi fu un tempo in cui, almeno fino a Pio XII incluso, ai fedeli non importava chi fosse il papa, perché comunque essi sapevano che, chiunque fosse, avrebbe sempre insegnato la stessa dottrina e condannato gli stessi errori. Nell’applaudire il papa essi applaudivano non tanto colui che in quel momento era sul santo soglio, ma il papato, la regalità sacra del Vicario di Cristo, la voce del Supremo Pastore, Gesù Cristo.

Bergoglio, che non gradisce presentarsi come successore del principe degli apostoli e, sull’Annuario pontificio, ha fatto mettere in secondo piano l’appellativo di vicario di Cristo, implicitamente si separa dall’autorità che Nostro Signore ha conferito a Pietro e ai suoi successori. E questa non è una mera questione canonica. È una realtà le cui conseguenze sono gravissime per il papato.

Quando tornerà Pietro? Quanto a lungo Roma resterà senza papa? Inutile interrogarci. I disegni di Dio sono misteriosi. Possiamo solo pregare il Padre celeste dicendo: “Sia fatta la tua volontà, non la nostra. Ed abbi pietà di noi peccatori”.

Dal blog di Aldo Maria Valli
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DIGIUNO E ASTINENZA: perchè, quando, come...

16/2/2021

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SENSO E SCOPO DEL DIGIUNO QUARESIMALE
 
Il digiuno quaresimale ha certamente una dimensione fisica, oltre l'astinenza dal cibo, può comprendere altre forme, come la privazione del fumo, di alcuni divertimenti, della televisione,... Tutto questo però non è ancora la realtà del digiuno; è solo il segno esterno di una realtà interiore; è un rito che deve rivelare un contenuto salvifico, è il sacramento del santo digiuno. Il digiuno rituale della Quaresima:
 
- è segno del nostro vivere la Parola di Dio. Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio, sull'esempio di Cristo, che disse: "Mio cibo è fare la volontà del Padre";
 
- è segno della nostra volontà di espiazione: "Non digiuniamo per la Pasqua, né per la croce, ma per i nostri peccati, ... " afferma san Giovanni Crisostomo;
 
- è segno della nostra astinenza dal peccato: come dice il vescovo sant'Agostino: "Il digiuno veramente grande, quello che impegna tutti gli uomini, è l'astinenza dalle iniquità, dai peccati e dai piaceri illeciti del mondo, ...".
 
In sintesi: la mortificazione del corpo è segno della conversione dello spirito.

 
INDICAZIONI PRATICHE DEL DIGIUNO E DELL’ASTINENZA
 
- il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo sono giorni di digiuno* dal cibo e di astinenza* dalla carne e dai cibi ricercati o costosi.

- i venerdì di Quaresima sono giorni di astinenza dalla carne e dai cibi ricercati o costosi.

- negli altri venerdì dell’anno, i fedeli possono sostituire l'astinenza dalla carne con altre opere di carattere penitenziale.

ASTINENZA E DIGIUNO: LE DIFFERENZE

- L'astinenza «proibisce l'uso delle carni, non però l'uso delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento anche di grasso di animale» (Paolo VI, Cost. apost. Paenitemini, 17 febbraio 1966).

- Il digiuno «obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera» (ivi). Sono esclusi piccoli snack o bevende (caffe, ecc…) durante la giornata. L’acqua è consentita.

CHI DEVE OSSERVARE DIGIUNO E ASTINENZA

Sono tenuti ad osservare il digiuno tutti i maggiorenni fino al 60esimo anno d'età, e a praticare l'astinenza tutti coloro che abbiano compiuto i 14 anni, in tutti i casi fatte salve particolari situazioni personali e di salute.

Chi non rispetta questo precetto commette peccato grave.

NB: anche coloro che non sono tenuti all'osservanza del digiuno, i bambini e i ragazzi, vanno formati al genuino senso della penitenza cristiana.

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VALIDITA' E LICEITA' DELLA MESSA - “Non stacchiamoci dal Corpo, non formiamo fazioni”

5/12/2020

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Una riflessione, di un sacerdote, sulle affermazioni di don Minutella sulla validità e liceità della Messa in comunione con papa Francesco: non aggiungiamo zizzania alla zizzania.

Mi sembra doveroso dedicare un articolo su una questione teologica – di non poca importanza – sollevata dal confratello don Alessandro Minutella.
Premetto che non provo sentimenti negativi nei confronti di don Alessandro.
Non spenderò parole riguardo alle due scomuniche e al valore che esse possano avere nell’ottica di questo articolo. Quello che posso affermare è che la logica mi suggerisce che sia un Sacerdote comunque mosso da sincerità, serietà e zelo per il Vangelo.
La gerarchia, mi rincresce dirlo, non si è mai preoccupata di incontrarlo, discutere su basi realmente dottrinali e quali fossero i punti da lui sollevati. Punti che in parte condivido io stesso.
Nonostante tutto, in questa dissertazione, desidero uscire da un ottica emotiva, opinionistica, e allontanarmi possibilmente dallo schierarsi a favore o meno di Minutella: tali prese di posizione – ho potuto riscontrare – sono inficiate spesso da pregiudizi o considerazioni sommarie.
Scrivo questo come introduzione all’argomento poiché in rete ho visto un esagerato, per l’appunto, schierarsi in fazioni, anche tra chi cerca di difendere la Tradizione.

È doveroso affrontare alcune questioni sulla base di elementi dottrinali e canonici.
Purtroppo, come suppongo i lettori ne soffriranno, le dispute religiose ormai si basano su tutt’altro, alimentate dal circo mediatico.
La principale argomentazione che voglio affrontare in questa sede è quella più cruciale: l’una cum papa Francisco.
Rifletto su questo tema da parecchio tempo: sono perplesso sulla tesi portata avanti con forza dal confratello Minutella.
In un articolo pubblicato da Marco Tosatti viene citata una parte del nuovo libro di  don Alessandro 'Pietro dove sei?' dedicata al tema dell’una cum.
In esso don Minutella pone una questione: è lecito per i fedeli laici partecipare alla Messa in comunione con papa Francesco? Nel suo libro il confratello parte dal presupposto che il papa sia caduto più volte nell’eresia.
Innanzitutto mi conforta il fatto che don Alessandro non abbia più definito invalida qualsiasi Messa celebrata in unione con papa Francesco, ma che attualmente faccia riferimento alla sola liceità. Purtroppo definire invalida qualsiasi Messa celebrata in qualsiasi Chiesa al mondo risultava un errore davvero troppo grossolano per un Teologo del suo calibro. Lui stesso infatti ha successivamente ammesso: “Il proclama di una messa invalida in comunione con papa Francesco è stato un tentativo pastorale estremo per evitare che i fedeli cattolici si macchiassero di tale grave colpa, come quando una mamma minaccia l’arrivo del mostro se il bambino vuole a tutti i costi esporsi al pericolo”.
Tentativi pastorali per mettere in guardia i fedeli, quindi.
Tuttavia don Alessandro non ha considerato i danni pastorali che si sono generati. Riporto un esempio tratto da esperienza personale: alcuni fedeli di mia conoscenza non vanno più a Messa la domenica proprio perché pensano che la Messa non sia valida, venendo nominato nell’una cum papa Francesco.
Quindi, all’atto pratico: se non trovano una Messa vetus ordo in zona, preferiscono stare a casa. Questo, al contrario, è commettere un peccato. Si passa dalla padella alla brace.
Sono tre gli aspetti che vorrei sottolineare.
Primo: molti fedeli che prima si comunicavano regolarmente ora non lo fanno più con la stessa costanza; secondo: sappiamo bene che se un’anima smette di comunicarsi con frequenza gli attacchi del demonio sono sempre maggiori e maggiori sono le circostanze di caduta nel peccato; Terzo: a un umile prete e pastore di anime come don Alessandro chiedo: come puoi permettere che i fedeli restino senza lo scudo spirituale dell’Eucaristia, in balia delle onde – o cavalloni direi -, dello smarrimento, della confusione, della rabbia, tutte cose che rendono il terreno fertile per la semina del nostro nemico?
In questi casi dobbiamo avere il coraggio di fare nostre le parole di San Paolo: “Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli” (Rm 9,3). Dal testo greco abbiamo: “ηὐχόμην γὰρ ⸂ἀνάθεμα εἶναι αὐτὸς ἐγὼ⸃ ἀπὸ τοῦ Χριστοῦ ὑπὲρ τῶν ἀδελφῶν μου τῶν συγγενῶν μου κατὰ σάρκα”. Dove i termini chiave di riflessione sono:
anathema: oggetto di maledizione;
ego apò toù Kristoù: separato da Cristo.
Questa parola di San Paolo ci fa riflettere seriamente – mi rivolgo in particolare ai Sacerdoti -: preferire piuttosto l’essere considerato oggetto di maledizione e separato da Cristo a vantaggio dei fratelli.
Don Alessandro, comprendo i tuoi sentimenti. Oggi regna una confusione mai avvenuta prima d’ora nella Chiesa. Ma occorre essere talvolta pronti a fare un passo indietro, a vantaggio delle anime che ci sono state affidate. Le anime possono restare turbate e confuse. E come dicevo poco fa, questo stato di cose può rendere fertile il terreno per il nemico.
Ora parliamo di un altro aspetto – per molti cruciale – su cui Don Alessandro fonda il suo pensiero. Egli scrive: “Un cattolico non può andare a Messa disinteressandosi di chi sia veramente il papa, quando ne esiste più di uno!”
Secondo quanto egli afferma, un fedele che partecipa alla Messa nella quale si nomina papa Francesco cadrebbe in stato di peccato, sulla base della convinzione che papa Bergoglio sia eretico, un anti-papa, e la Messa celebrata invalida/illecita.

Innanzitutto voglio fare profonda chiarezza su questo punto.
Il papa è sempre uno solo. Ed è papa Francesco, che ci piaccia o meno.
Il fatto che Benedetto XVI abbia introdotto per la prima volta la presenza di un ministero petrino non attivo e soltanto spirituale  non elimina in alcun modo la realtà delle sue dimissioni (abdicazione) da papa attivo e, di conseguenza, da guida concreta e visibile della Chiesa. Si legga a tal proposito ciò che resta agli atti: la declaratio di rinuncia .
Si collega a questo punto del discorso un altro anello: la validità del conclave 2013, definito da molti invalido in quanto manipolato da vizi di forma o sostanza.
Per decretare la nullità di un conclave non sono sufficienti le ipotesi giornalistiche e nemmeno le rivelazioni private. Questo, don Alessandro, lo sai molto bene.
Per rendere nullo un conclave – atto gravissimo e drammatico – devono sussistere delle condizioni precise. Consiglio a riguardo la lettura di questo articolo del professor Guido Ferro Canale.
Come non citare la discutibile elezione, verosimilmente comprata, di Alessandro VI nel 1492, per la quale fu accusato di simonia? Tuttavia fu eletto, divenne papa, e nessuno lo ha potuto spodestare.
Possiamo permetterci di giudicare il suo comportamento morale definendolo discutibile?
Indubbiamente ci possiamo ragionare, ma sarà Dio a giudicare. Ma fu papa: e mai cadde in eresia.
Veniamo all’oggi e a papa Francesco.
Ripeto, che la cosa piaccia o meno, Jorge Mario Bergoglio è papa fino a comprovata e formale prova contraria. Io stesso resto perplesso e confuso davanti a certe sue affermazioni.
Appurato questo, qualcuno di noi può affermare inderogabilmente che Papa Francesco si sia mai espresso in modo eretico ex cathedra?
Negativo. Per questo non è formalmente eretico.
Sul fatto che faccia affermazioni altamente discutibili – in modo del tutto personale – non ci piove.
Ma l’accusa di eresia e l’eventuale deposizione di un pontefice deve seguire un percorso preciso nella Chiesa. Egli allo stato attuale non può essere definito formalmente un papa eretico, ripeto.
Di conseguenza non può avere fondamento l’affermazione di don Alessandro “il fedele pecca se partecipa a una Messa una cum con Francesco”, riprendendo erroneamente alcuni concetti espressi da san Tommaso D’Aquino.
Un papa può sbagliare? Certamente. Un papa è’ infallibile solo ed esclusivamente quando si esprime ex cathedra in materia di fede e di morale. Quindi non in una intervista, non in un reportage cinematografico, o in qualsiasi altra forma. Il fedele può non abbracciare un’affermazione del papa, se considerata sviante dalla Dottrina e detta fuori dal contesto ex cathedra, ma non può arrogarsi il diritto di non riconoscerlo come papa regnante, vicario di Cristo.
(Lo stesso atteggiamento deve valere nel giudizio nei confronti della Chiesa stessa. Definirla una multinazionale della vergogna non è un atteggiamento caritatevole e fruttifero. Voglio fare un esempio per chi ha lo stomaco forte: pensate a un figlio che insultasse la propria madre, definendola una puttana, nonostante gli sbagli che possa aver commesso di fronte al figlio. Non cade forse egli stesso in un peccato grave?).
Ricordiamo che anche san Pietro sbagliò pesantemente. In Matteo 26,72 troviamo l’emblema dello sbaglio di Pietro: il rinnegamento. Pietro dice di Gesù: “Non conosco quell’uomo”. In greco: “Οὐκ οἶδα τὸν ἄνθρωπον”; “ouk oìda tòn antropon”; “ouk oida”: non conosco. Pietro afferma, davanti a una giovinetta, di non conoscere Gesù.
Questo dopo aver visto i miracoli e le sue opere straordinarie – la moltiplicazione dei pani e dei pesci, le risurrezioni, i ciechi guariti alla vista, gli storpi raddrizzati -, dopo aver lui stesso camminato sull’acqua, dopo essere stato nominato papa direttamente da Cristo. Dopo tutto questo vissuto, Pietro dice: non lo conosco.
Cristo Gesù di contro come reagisce? Lo solleva dal mandato di papa? Lo accusa di essere falso cacciandolo? Al contrario, lo guarda con misericordia. E da questo Pietro ricomincia e si converte.
La Chiesa non è guidata da noi uomini e nemmeno i ministri di Dio possono prendere il posto di Dio, poiché la Chiesa è sempre e comunque guidata dallo Spirito Santo.
Chi non crede in questo manifesta un’aperta sfiducia nei confronti di quanto Gesù ha promesso (non praevalebunt).

È interessante una frase di san Vincenzo de Lerins: “Dio alcuni Papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”. Ma sempre papi restano.
E ancora sulla questione una cum, nonostante gli errori di traduzione, nonostante quello che si possa pensare della pastorale di papa Francesco, il dovere di andare a Messa non è sindacabile.
Rechiamoci in Chiesa e riceviamo Gesù Eucaristia, come di dovere per un cattolico!
Adoriamolo nel Santissimo Sacramento, che, ricordo, è valido. Chi afferma il contrario incorre in gravissimi errori: state ben attenti alla zizzania che il nemico vuole portare. Non aggiungetene ulteriormente!
Chi gradisce la Messa vetus ordo sia benedetto e partecipi al rito antico. Ma se non ci fosse a disposizione, si cade nel peccato non recandosi a Messa! Sono le basi del Catechismo, amici.
Andare a Messa non è peccato. È un obbligo!
Sono certo che questo articolo farà venire molti mal di pancia ai sostenitori di don Alessandro, ma reputo necessario approfondire determinati aspetti.
La lotta deve essere fatta dall’interno, nella resistenza, non staccandosi dal Corpo, formando fazioni di fazioni di fazioni. Chi una variante, chi l’altra. Facciamo solo il gioco del nemico.
Lasciamo al Maestro, Gesù Cristo, decidere quando e come risolvere qualsiasi frattura nella sua Chiesa, resistendo e rimanendo ancorati agli insegnamenti di sempre.

Retropensiero dell’autore (Aldo Maria Valli)
IB: “Duilio, spero che i lettori non abbiano frainteso le mie parole, che non mi bòllino come membro di qualche precisa fazione; sai…è un momento di grande confusione nella Chiesa…”
D: “Non riesco a capire, sir, se rischio partecipando alla Messa. Chitarre, bonghi, “non abbandonarci” invece di “non ci indurre”, “rugiade”, inchini di pace, disinfettante invece dell’acqua Santa, omelie sulla raccolta della plastica, l’inferno è vuoto…ho mal di testa…”
IB: “Duilio, ti faccio una domanda: Gesù Sacramento è nel Tabernacolo?”
D: “Si, sir, lo è!”
IB: “E vuoi lasciarlo solo in mezzo a questo casino?!”]*
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IL SIMBOLO DELLA FEDE

10/11/2020

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Da una bellissima lettura di un brano sulla nostra professione di Fede, san Cirillo di Gerusalemme ci aiuta a capire come dobbiamo muoverci in questi tempi oscuri....

Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523)

Il simbolo della fede

Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.

Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal 1, 8).

Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento.

Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore.

Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate. Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di ciò che vi è stato donato.

«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservate intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.

Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.

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CON CHE CORAGGIO TORNERANNO A PARLARE DI DIO SALVATORE?

30/4/2020

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È sconcertante in questo momento storico drammatico, sentire vescovi e teologi considerare la fede come una cosa secondaria rispetto alla scienza e trattare Dio come fosse un "guru" di cui al momento non c'è bisogno. Non è questo che la Chiesa ha professato per secoli.

“La verità è oggi tanto offuscata e la menzogna così ben stabilita che, se non si ama così saldamente la verità, non si è in grado di riconoscerla” (Blaise Pascal)
Sono una suora, ogni giorno cerco di vivere, pur tra mille limiti personali, la “risposta” quotidiana alla chiamata che sentii un giorno lontano, giovane sbarazzina e piena di progetti come tutti i giovani. Dopo una notte insonne, ebbi la netta sensazione, convinzione (chiamatela come volete, anche follia!!!) che il Signore di colpo, sbarazzandosi di tutti i miei sogni, mi chiamasse e, senza il classico percorso di “spirituale discernimento”, decisi immediatamente di rispondere sì. Il percorso di “consapevolezza” fu una conseguenza successiva della mia decisissima e forse inconscia risposta!

Da allora mai, dico mai, ebbi un tentennamento, il "dubbio" di aver sbagliato a dire il mio sì al Signore. Tentennamenti sulle mie capacità… sì!!! Dubbi sulla mia inadeguatezza… sì!!! Battaglie interiori sulle mie resistenze alle fatiche e agli scogli presentati dalla vita, sì…!!! E così via… ma mai sul Signore.

Ora da suora sono basita, sconcertata, nel leggere, in questo periodo storico estremamente drammatico sia dal punto di vista umano che dal punto di vista spirituale, le affermazioni di alcuni vescovi e teologi che, con estrema sicurezza, relegano la fede ad un prodotto quasi commerciale indicandoci come e quando prenderlo. È incredibile: nella gerarchia dei valori della vita e dei bisogni fondamentali dell’esistenza, hanno messo in secondo piano il rapporto d’Amore e di Somiglianza con Chi ci ha creato. Non solo, ma è latente il tentativo di togliere dalla vita di molti fedeli la certezza, che è poi l’essenza della fede, che Dio guarisce e salva.

È un volgare tentativo di abbassare Dio al livello di un “guru”, che attualmente non serve, che è lassù… ma noi quaggiù dobbiamo obbedire ai tecnici… ai virologi… ai comitati scientifici (quanti ne hanno salvati?).
Dio è assente? Anche Lui in quarantena… lontano, chiuso, ostile e direi inaccessibile?

Ma Gesù non era (e, per chi crede, lo è tutt’ora) il Maestro di Verità e il Medico delle nostre piaghe, delle nostre angosce? Non solo, ma per secoli dai sacerdoti, Vescovi, Papi… non ci è stato presentato, annunciato come nostro Servo e Vittima innocente per i nostri peccati? Non è il Figlio di Dio venuto per salvarci e finito, tra tormenti indicibili, su una Croce infame? Non è quello che - in Mt 28,20 - assicura che “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”? Non ci è stato sempre presentato come unico Salvatore di coloro che cercano la Salvezza? Come dice la Bibbia: “Per la Salvezza di chi lo accoglie… per la rovina di chi lo rifiuta” (Lc 2,34).
Gesù non è forse l’Ancora di Salvezza preparata dal Padre per i suoi figli naufraghi in questo mare in tempesta?

È allucinante la posizione di alcuni che dovrebbero portare con orgoglio la Parola di Salvezza… e invece propongono altre áncore… Quella di Gesù sarebbe secondaria. Tutti a seguire le lezioni date dai tecnici, dai politici e date dalle nuove cattedre universitarie dei talk show televisivi: la scienza è la scienza, la religione è un sottoprodotto.

Ma con quale coraggio costoro, in futuro, ci parleranno di Dio Salvatore dopo averlo così degradato al livello di un guru umano incapace di fare cose grandi?

Rodolphe Plus scriveva: “Pochi accetterebbero di vivere con un cadavere nella sala da pranzo… eppure, troppi tengono in sé stessi un’anima morta!”. Ma chi dovrebbe preoccuparsi di toglierci l’odore della morte dell’anima? Il virologo?... La politica?... L’equipe di scienziati? O un Sacerdote che, da semplice uomo, o meglio da povero uomo quale è, può dare una dimostrazione palpabile del potere di perdonare i peccati e di ridarci la bellezza della vita vera, quella che va oltre lo spazio e la morte, perché, come dice San Paolo: “Se Cristo non fosse Risorto vana è la nostra Fede”?

A questo punto, una questione va risolta: questo benedetto potere Gesù lo ha trasmesso ai suoi sì o no?
Per noi è necessaria una parola unica e vera. Il credente ha il bisogno e il desiderio di condividere il suo fardello, la sua sofferenza interiore con Gesù. Sì, perché il cristiano sente lo stesso bisogno, lo stesso anelito del Figliol Prodigo: “Mi alzerò e andrò da mio Padre… e gli dirò: Padre ho peccato…”

Da sempre, lungo i secoli, la Chiesa ha camminato con il suo gregge. Il Vangelo ci dà la cifra della fedeltà o, diciamo, della verità del Pastore: “Colui che non è Pastore… appena vede il lupo abbandona le sue pecore”. Che sia questo il tempo di Dio per selezionare i “veri Pastori”?
O dovremo, in modo sconsolato, riconoscere che il “Male” è davvero più astuto e abile del bene nel confondere le carte, quindi nel confondere i Pastori e di conseguenza il gregge affidato a loro da Dio?

È carità pastorale ignorare le esigenze, i problemi di coscienza, le angosce esistenziali di quelle persone che hanno sempre creduto sinceramente nella parola di Dio? Che sentono il bisogno di chiedere perdono, che sentono il bisogno di accostarsi e ripetere quella millenaria frase che ha sempre confortato e guarito il cuore di migliaia di uomini: “Di' soltanto una parola… e io sarò guarito!”

O, dobbiamo prendere atto che, in questo mondo moderno, talvolta comodo, sbrigativo e arruffone, anche nei consacrati viene a mancare il bisogno di Gesù Eucarestia?
«È meglio obbedire a Dio o agli uomini?», si chiede l’Apostolo. Oggi preghiamo che la risposta dell’Apostolo torni ad echeggiare nel cuore dei consacrati ad ogni livello… anche nelle gerarchie.
Con umiltà, sconcerto e speranza…

* Suora, fondatrice della Comunità Shalom - Regina della Pace, Palazzolo sull'Oglio
​  da LANUOVASBQ
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CHI NON E' D'ACCORDO, PUO' ANDARE VIA

27/4/2020

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Il più grande teologo di tutti i tempi, San Tommaso d’Aquino, all’inizio delle lezioni mostrava ai suoi allievi una mela dicendo: «Questa è una mela. Chi non è d’accordo, può andar via». Il “Doctor Communis” voleva far capire che non è il pensiero a determinare l’essere, ma è l’essere che determina il pensiero.

La superbia infatti fa ritenere che il nostro pensare sia il fondamento dell’essere, mentre invece l’umiltà ci porta ad osservare e argomentare l’essere delle cose, soprattutto in quelle divine.

L’essere determina il pensiero, non viceversa. Chi non è d’accordo, può andar via.

La Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo. Chi non è d’accordo, può andar via.

La Chiesa è gerarchica per divina costituzione. Chi non è d’accordo, può andar via.

La Chiesa non è una ONG filantropica, ma il Corpo mistico di Cristo. Chi non è d’accordo, può andar via.

La missione della Chiesa non è adattare il Vangelo alla mentalità corrente, ma convertire le mentalità di tutte le epoche al Vangelo. Chi non è d’accordo, può andar via.

La missione della Chiesa non è rendere la vita di quaggiù più facile, ma strappare anime al Diavolo affinché possano avere la vita di lassù. Chi non è d’accordo, può andar via.

L’inferno esiste e non è vuoto. Chi non è d’accordo, può andar via.

La sodomia e l’aborto sono peccati che gridano vendetta al Cielo. Chi non è d’accordo, può andar via.

Il matrimonio è indissolubile. Chi non è d’accordo, può andar via.

Chi ha una relazione coniugale con un/a divorziato/a, commette adulterio. Chi non è d’accordo, può andar via.

Il sesso al di fuori del matrimonio è peccaminoso. Chi non è d’accordo, può andar via.

La contraccezione non è mai moralmente lecita. Chi non è d’accordo, può andar via.

Il marxismo è intrinsecamente perverso. Chi non è d’accordo, può andar via.

Non si può dare a Cesare ciò che è Dio. Chi non è d’accordo, può andar via.

Senza pentimento, non c’è remissione dei peccati. Chi non è d’accordo, può andar via.

Solamente i peccatori pentiti e riconciliati possono cibarsi dell’Eucarestia. Chi non è d’accordo, può andar via.

Solo gli uomini possono essere consacrati sacerdoti. Chi non è d’accordo, può andar via.

La Carità procede dalla Verità. Chi non è d’accordo, può andar via.

Non esiste il dialogo fra le religioni, ma con le persone di altre religioni. Chi non è d’accordo, può andar via.

I sacramenti sono per gli uomini, ma non sono degli uomini. Chi non è d’accordo, può andar via.

Il cristiano è in questo mondo, ma non è di questo mondo. Chi non è d’accordo, può andar via.

Per essere discepoli di Gesù, bisogna accettare la Croce. Chi non è d’accordo, può andar via.

Il fine non giustifica i mezzi. Non si può commettere il male neppure a fin di bene. Chi non è d’accordo, può andar via.

La coscienza – rettamente formata – obbedisce alle leggi di Dio, non si mette a legiferare secondo desideri e capricci dell’individuo.

I sacerdoti hanno la missione di convertire i peccatori, non di integrarli. Chi non è d’accordo, può andar via.

Nessuno dei Dieci Comandamenti può essere soggetto a “referendum abrogativo”. Chi non è d’accordo, può andar via.

Il papa e i vescovi sono custodi del depositum fidei, non padroni: non possono aggiungere o togliere neppure una virgola di ciò che hanno ricevuto e che devono trasmettere. Chi non è d’accordo, può andar via.

Passeranno il cielo e la terra, falsi profeti e cattivi maestri, ma non passeranno le parole del Signore. Chi non è d’accordo, può andar via.

Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Chi non è d’accordo, può andar via.

IPSE DIXIT

Credit: ​Dario Maria Minotta
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L'UNITA' E' POSSIBILE SOLO NELLA VERITA'

17/1/2019

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Inizia venerdì 18 gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio 2019) che quest’anno ha come filo conduttore il versetto del libro del Deuteronomio 16,18-20 Cercate di essere veramente giusti, che è stato scelto dai cristiani di Indonesia.

18-25 Gennaio 2019
Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
L'UNITA' E' POSSIBILE SOLO NELLA VERITA'

 
La Chiesa sta vivendo una situazione di crisi che non credo abbia precedenti nella sua bimillenaria storia, perché non stiamo assistendo solo ad eventi riprovevoli, se non scandalosi, frutto della debolezza dell’uomo – che è peccatore, non scordiamocelo – ma addirittura vediamo messi in discussione gli stessi principi fondamentali, e la casa costruita sulla roccia sembra sempre più costruita sulla sabbia. Una pastorale sempre più confusa, un’ansia di “apertura al mondo” portano inevitabilmente anche alla confusione sulle basi dottrinali. Il solo porsi determinate domande (un esempio per tutti: la Comunione ai divorziati risposati) è già un segnale gravissimo, perché non si possono porre domande su ciò che è per sua natura indiscutibile.

Sul fronte pro-life non da oggi si scontrano due posizioni: quella della difesa della Vita “senza compromessi” e quella di chi afferma, e si presume e si spera che lo faccia in buona fede, la possibilità di aperture, collaborazione, dialogo con un mondo che ha già dimostrato nei fatti la feroce avversione alla vita. Già mesi fa mi capitava di scrivere un articolo sulla confusione che poteva nascere da certe “classificazioni” dell’abortismo (libertario, umanitario, ecc.), laddove l’abortismo, se anche teorizzasse l’uccisione di un solo innocente, è una dottrina perversa, né è possibile alcun dialogo con chi la professa.

Una posizione di difesa della vita “senza compromessi” comporta ovviamente anche una capacità di riconoscimento della realtà, per quanto ciò possa risultare sgradevole. E la realtà ci dice che, purtroppo, non solo da parte di politici (che pur si dichiarano cattolici) ma anche da parte di tanti Pastori non ci si può aspettare un vero aiuto. Anzi, spesso è accaduto di trovare in essi dei veri ostacoli.

La Provvidenza però non abbandona mai e giustamente si è da più parti sottolineato che il “Popolo della Vita”, quello che è stato protagonista della grande crescita, anno per anno, di iniziative come la Marcia Nazionale per la Vita, è nato “dal basso”, ossia dal risveglio di quei sani sentimenti popolari che, ringraziando il Signore, non muoiono nemmeno nei tempi più bui della Storia. Molte volte nella Storia il popolo si è mostrato custode fermo e sicuro di ciò che i Pastori stessi sembravano aver dimenticato.

In questa situazione di oggettiva difficoltà, di Chiesa allo sbando, di messaggi contradditori, è naturale che sorgano discussioni sulle modalità, sulle strategie, su ciò che insomma sia meglio fare per affermare e difendere i principi non negoziabili. Discussioni sulle modalità, sulle azioni, che divengono molto pericolose se scivolano sul piano inclinato delle azioni che rischiano di mettere in discussione gli stessi principi che si devono affermare e difendere. Per tornare all’esempio di prima, se io metto in discussione il fatto di consentire o meno a un divorziato risposato di ricevere la S. Comunione (e magari lo faccio per un malinteso spirito di “carità), metto in discussione la stessa Dottrina della chiesa sul matrimonio indissolubile.

Per tornare al fronte pro-life, è naturale, ma anche doveroso, che io esprima il mio dissenso verso quelle azioni che rischiano di mettere in discussione gli stessi principi fondamentali, ossia la difesa assoluta della Vita, senza alcun compromesso. La più piccola smagliatura nella rete porta prima o poi allo sfascio della rete.

Discussione sui metodi, quindi. Doverosa e utile per individuare, con spirito fraterno, le strategie migliori per lottare contro un mondo il cui principe, non scordiamocelo, lavora per la distruzione. Ma se di fatto si mettono in discussione anche i principi, se lo spirito fraterno viene meno, se la discussione scade nello scontro personale, è allora altrettanto inevitabile e doveroso assumere posizioni chiare e nette e, ove necessario, dissociarsi da chi oltretutto fa attacchi personali. Perché, parliamoci chiaro, lo stesso fatto di far cadere la discussione negli attacchi personali dimostra che la difesa dei principi non negoziabili è comunque in secondo piano rispetto alle proprie ambizioni, ai risentimenti, alla vanità.

In questa situazione, per tornare al titolo di questo articolo, le esortazioni all’unità, alla concordia, sono tanto belle quanto fuori luogo, perché solo nella Verità, ovvero nel non transigere mai sui principi, si possono esercitare la carità e lo spirito fraterno. Esiste una gerarchia dei valori; se la capovolgiamo ci mettiamo sulla strada rovinosa di un umanitarismo senza basi. Diventiamo come quella tale casa costruita sulla sabbia.

Nella gran confusione in cui si vive, una delle parole il cui significato è stato di più stravolto è senza dubbio la parola “ecumenismo”. Il falso spirito ecumenico ci porta alla rovina, perché ci illude. La Verità per sua natura è una sola,e solo aderendo ad essa si può arrivare poi al dialogo, al confronto, alla discussione costruttiva.

Per concludere, cerchiamo di essere il più chiari possibile: tra i fedeli deve senza dubbio regnare la concordia; senza dubbio la divisione è opera del demonio. Ma la concordia è possibile solo nella Verità. 

Altrimenti si usano parole di contrabbando, si predicano atteggiamenti che non sarebbero più di carità, bensì di remissività, di resa al mondo.

Ci sono fatti e atteggiamento che è impossibile non vedere. Di fronte ad essi la critica severa non è “divisiva” (parola venuta di gran moda). È semplicemente doverosa.

Paolo Deotto scrive 
e NAZARETH FAMIGLIA DI DIO sottoscrive
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L'ORIGINE PAGANA DEL NATALE, UNA LEGGENDA

11/1/2019

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L’origine pagana del Natale, una leggenda. 
Lo storico W.J. Tighe spiega che il culto pagano del Sol Invictus venne istituito da Aureliano nel 274 d.C., dopo che i cristiani indicarono nel 25 dicembre la nascita di Gesù. Furono i pagani a copiare dai cristiani.
di William J. Tighe docente di Storia presso il Muhlenberg College (Pennsylvania)
 

 
Anche molti cristiani credono che il cristianesimo celebri la nascita di Cristo il 25 dicembre perché i Padri della Chiesa si sarebbero appropriati della data di una festa pagana, quella del Sol Invictus. Pochi danno reale importanza a questo fatto, tuttavia è interessante sapere che la scelta del 25 dicembre è il risultato dei tentativi dei primi cristiani di indicare la data della nascita di Gesù basandosi su calcoli del calendario che non avevano nulla a che fare con le feste pagane.

Avvenne piuttosto il contrario. La festa pagana del Sol Invictus fu istituita dall’imperatore romano Aureliano il 25 dicembre 274, quasi certamente un tentativo di creare un’alternativa pagana ad una data che già godeva di una certa importanza per i cristiani romani. Per questo “le origini pagane del Natale” sono un mito senza fondamenta storiche.

 
Origini pagane del Natale, da chi arriva questa tesi?
L’idea che la data sia stata “rubata” ai pagani risale a due studiosi tra la fine del 17° e l’inizio del 18° secolo. Il primo è Paul Ernst Jablonski, un protestante tedesco, il quale intendeva dimostrare che la celebrazione della nascita di Cristo del 25 dicembre era una delle tante “paganizzazioni” del cristianesimo che la Chiesa del IV secolo aveva adottato, come una delle tante “degenerazioni” che avrebbero trasformato il puro cristianesimo apostolico in cattolicesimo. L’altro è Dom Jean Hardouin, un monaco benedettino, il quale invece cercò di dimostrare che la Chiesa cattolica aveva adottato feste pagane per scopi cristiani, senza paganizzare il Vangelo. Nel calendario giuliano, creato nel 45 a.C. sotto Giulio Cesare, il solstizio d’inverno cadeva il 25 dicembre e, pertanto, Jablonski e Hardouin trovarono chiaro che questa data doveva necessariamente contenere un significato pagano prima che venisse cristianizzata.

Eppure tale data non aveva mai avuto alcun significato religioso nel calendario festivo pagano in tempi precedenti ad Aureliano, ed il culto al solenon giocò mai un ruolo importante a Roma prima del suo arrivo. C’erano due Templi del sole a Roma. Uno di essi (gestito dalla famiglia in cui Aureliano nacque o venne adottato) celebrava la sua festa di consacrazione il 9 agosto, mentre nell’altro si festeggiava il 28 agosto. Tuttavia, entrambi questi culti caddero in disuso nel II° secolo, quando i culti solari orientali -come il mitraismo-, iniziarono a guadagnare adepti a Roma. In ogni caso, nessuno di questi culti, vecchi o nuovi che fossero, aveva festività legate a solstizi o equinozi.

 
Festa del Sol Invictus nacque dopo il Natale cristiano.

Quello che realmente accadde fu che Aureliano, che governò dall’anno 270 fino al giorno del suo omicidio nel 275 d.C., promosse (com’è ben documentato) l’istituzione della festa del Sol Invictus come tentativo di unificare i vari culti pagani dell’Impero Romano attorno ad una commemorazione della “rinascita” annuale del sole. Ostile al cristianesimo, Aureliano guidò un impero che stava avanzando verso il collasso, a causa di sconvolgimenti interni, ribellioni nelle province, declino economico e ripetuti attacchi delle tribù germaniche nel nord e dell’Impero persiano nell’est. La sua scelta cadde sul 25 dicembre, quando la luce del giorno comincia ad allungarsi e l’oscurità ad accorciarsi, un simbolo profetico della “rinascita” o dell’eterno ringiovanimento dell’Impero Romano, favorito dalla perseveranza nel culto degli dei la cui tutela (come credevano i romani) aveva portato Roma alla gloria. Se la nuova festa poteva anche sovrapporsi alla celebrazione cristiana, ancora meglio.

È vero che la prima notizia di una celebrazione cristiana della Natività a Roma, nel giorno del 25 dicembre, risale a pochi anni dopo Aureliano, nel 336 d.C.. Ma ci sono prove provenienti dall’Oriente greco e dall’Occidente latino che mostrano come i cristiani hanno cercato di individuare la data della nascita di Cristo molto prima che iniziassero a celebrarla in modo liturgico. Un chiaro esempio è quello di Sesto Giulio Africano, uno scrittore cristiano che nel 221 d.C., nella sua Chronographiae, scrive che Gesù si è incarnato (fu concepito) il 25 marzo (così, evidentemente, nacque nove mesi dopo, il 25 dicembre). Sesto Giulio Africano scrive mezzo secolo prima della creazione della festa del Sol Invictus da parte dell’imperatore Aureliano,

Occorre anche ricordare una credenza che sembra essersi diffusa nel giudaismo al tempo di Cristo, ma che non coinvolse tutti i cristiani. Riguarda “l’età integrale” dei grandi profeti ebrei, ovvero l’idea che i profeti di Israele siano morti nella stessa data della loro nascita o concepimento. I primi cristiani applicarono questa idea a Gesù, partendo dal fatto che il 25 marzo (o il 6 aprile) non era solo la data della morte di Gesù, ma anche quella del suo concepimento. Vi sono infatti alcune prove che almeno alcuni cristiani nel I° e nel II° secolo consideravano il 25 marzo o il 6 aprile la data della nascita di Cristo, ma -come già detto- la prima data prevalse rapidamente come il giorno del concepimento di Cristo. Ed è in questo giorno, il 25 marzo, che i cristiani ancora oggi commemorano quasi universalmente la festa dell’Annunciazione, cioè quando l’Arcangelo Gabriele portò alla Vergine Maria l’annuncio. Quanto dura una gravidanza? Nove mesi. Se contiamo nove mesi a partire dal 25 marzo, si arriva al 25 dicembre. Se invece si parte dal 6 aprile, si arriva al 6 gennaio, giorno dell’Epifania. Gli Armeni sono gli unici tra le antiche chiese cristiane che ancora oggi celebrano la nascita di Cristo, l’Adorazione dei Magi ed il battesimo il 6 gennaio.

 
Comunque sia, il 25 dicembre come data della nascita di Cristo non è affatto in debito con influenze pagane. Andrebbe meglio studiato se sia stata la data esatta della nascita di Gesù di Nazareth, ma è certamente nata dagli sforzi dei primi cristiani latini di individuare la data storica della morte del Salvatore. D’altra parte, la festa pagana del Sol Invictus istituita dall’imperatore Aureliano in quella data, nell’anno 274 d.C., avvenne successivamente e non fu solo uno sforzo per usare il solstizio d’inverno con l’obiettivo di una dichiarazione politica, ma, quasi certamente, fu anche un tentativo di dare un senso pagano ad una data importante per i cristiani romani. A loro volta, i cristiani si riferiranno in seguito, in memoria della nascita di Gesù, all’ascensione del “Sole della salvezza” o del “Sole della giustizia”.
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VOCI DEL VERBO DISCERNERE...

13/7/2018

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Una delle parole centrali nell’insegnamento di papa Francesco è certamente «discernimento». Da buon figlio di sant’Ignazio, Bergoglio conosce le regole scritte nel XVI secolo dal fondatore dei gesuiti e di conseguenza ha ben presente l’importanza del discernere nella vita spirituale. Discernere significa setacciare: si tratta dunque di distinguere, di scegliere. In che senso? Scegliere il bene e rifiutare il male. Scegliere ciò che ci avvicina a Dio e rifiutare ciò che ci allontana da Lui. Scegliere la virtù e rifiutare il peccato.
Nel magistero di Francesco, tuttavia, il concetto di discernimento sembra aver preso una connotazione diversa, al punto da lasciar intendere che discernere significa soprattutto vedere fino a che punto è possibile seguire la dottrina e in quale misura sia invece possibile aderire a ciò che la coscienza suggerisce. In questo senso il discernere assomiglia sempre di più a un giustificare il limite umano e un separare quella che sarebbe la fredda legge «rigida», lontana dall’uomo e in sostanza impossibile da osservare, rispetto a una accompagnamento amichevole e comprensivo, in grado di cogliere i condizionamenti ai quali la creatura è esposta e quindi di scagionarla dalla colpa.
Affrontare il tema del discernimento nel quadro dell’attuale magistero pontificio significa entrare in uno degli aspetti decisivi del modello di fede e di pastorale che Francesco sta indicando alla Chiesa.
Ritengo dunque altamente istruttivo il saggio che propongo qui di seguito. Opera del professor Benedetto Rocchi, dell’Università di Firenze, non nasconde lo sconcerto per l’abuso del termine discernimento che oggi si fa in molti ambienti ecclesiali. Scrive il professore nella premessa al testo che mi ha gentilmente inviato: «Ho fatto parte delle Comunità di Vita Cristiana e ho avuto la fortuna di praticare gli esercizi spirituali secondo sant’Ignazio: ma lì il discernimento è un’altra cosa».
Propongo il saggio del professor Rocchi, che ringrazio, come un contributo al dibattito.
​
Aldo Maria Valli

Il discernimento secondo Ignazio di Loyola

Una parola risuona sempre più frequentemente nella Chiesa al tempo di papa Francesco: discernimento. La si invoca sopratutto nelle rinnovate controversie sui temi più scottanti della morale, in particolare relativi a matrimonio e sessualità, ma ormai il suo uso sconfina nei terreni più squisitamente legati alla dottrina, come nel caso dell’accesso all’Eucaristia per i divorziati risposati o, più recentemente, per i protestanti sposati ad un cattolico. Certe interpretazioni permissive dei passaggi meno chiari della Amoris laetitia, certe esternazioni progressiste in materia morale, ad esempio sugli atti omosessuali, invocano sempre più spesso il primato della coscienza sulle formulazioni della dottrina, descrivendo in genere quest’ultima come una fredda lista di norme e divieti invece che come il cuore pulsante del cristianesimo, dove fede e ragione si abbracciano sostenendosi a vicenda. Nel discernimento, si dice, la coscienza può guidare il credente attraverso e oltre la dottrina, verso una comprensione “dinamica” di quella che è la volontà di Dio per lui, nella sua concreta condizione esistenziale. Lo ha fatto recentemente monsignor Paglia (ma è in ottima e qualificata compagnia tra i suoi confratelli vescovi), durante un incontro formativo organizzato dalla diocesi di Oppido Palmi a Gioia Tauro (Avvenire, 17/05/2018) affermando che Amoris laetitia inviterebbe la Chiesa “…ad operare un ulteriore discernimento pastorale e personale che preveda, all’interno di un cammino di accompagnamento e in casi specifici la possibilità che i due accedano ai sacramenti mantenendo a tutti gli effetti … una vita coniugale”. Questo servirebbe a superare “facili schematismi” che a volte chiuderebbero “… la via della grazia e della crescita” e scoraggerebbero “… percorsi di santificazione che danno gloria a Dio”.
Non mi interessa discutere la forzatura di un passo (pure in sé ambiguo) dell’enciclica fatta da Paglia, un passo peraltro che lo stesso Papa non ha mai voluto chiarire ufficialmente, lasciando così a ciascuno la libertà di intenderlo come reputa giusto. Per quanto mi riguarda monsignor Paglia è chiaramente in errore. Mi sembra però urgente riflettere sul tema sempre più abusato del discernimento perché la coscienza è luogo essenziale del nostro rapporto personale con Dio ed un insegnamento erroneo sul discernimento potrebbe allontanare tanti cristiani dalla giusta strada verso il Padre.
Poiché il Papa regnante è un gesuita la rinnovata enfasi sul discernimento non deve stupire. Il “discernimento degli spiriti” (Esercizi spirituali 176b) è un tratto caratteristico dell’insegnamento di Sant’Ignazio di Loyola ed una esperienza tipica di chi pratica gli esercizi spirituali da lui proposti. Poiché ho fatto parte delle Comunità di Vita Cristiana durante gli anni della mia formazione, ho avuto il dono di sperimentare più volte gli esercizi e la fecondità della spiritualità ignaziana. Eppure non ricordavo un tale incoraggiamento ad una esame della coscienza totalmente svincolato dall’insegnamento ormai consolidato della Chiesa. Così, dopo tanti anni, ho cercato nella libreria gli Esercizi Spirituali per controllare cosa Ignazio scrivesse sul discernimento. E quello che ho trovato non assomiglia neanche un po’ a ciò di cui parlano monsignor Paglia e altri prelati come lui.
Alla fine della seconda settimana di esercizi Ignazio spiega come il cristiano deve affrontare una scelta che riguarda il suo stato di vita. Nel suo stile asciutto ed allo stesso tempo pieno di fuoco e di tensione a Dio, Ignazio guida l’esercitando, cioè qualsiasi cristiano che capisca di dover fare una scelta importante per la sua vita e desideri farla davanti a Dio. Al punto 169 parte da una premessa fondamentale: In ogni buona scelta, per quanto dipende da noi, l’occhio della nostra intenzione deve essere puro, badando solo al fine per cui siamo stati creati, cioè per la lode di Dio Nostro Signore e per la salvezza della nostra anima. (ES, 169a)
Qualunque scelta dovrebbe essere subordinata a questo fine. Con il suo sano realismo Ignazio riconosce che molto spesso gli uomini fanno esattamente il contrario: prima compiono le scelte in base ai loro “desideri disordinati” e poi cercano di servire Dio dentro tali scelte.
In pratica, invece, succede che molti scelgono di sposarsi e poi di servire nel matrimonio Dio Nostro Signore, mentre servire Dio è il fine … In tal modo questi non vanno con rettitudine a Dio ma vogliono che Dio vada di filato ai loro desideri disordinati, e perciò fanno del fine un mezzo e di un mezzo il fine e così quello che avrebbero dovuto considerare dopo lo considerano prima. (ES, 169b-c)
Questa è una premessa “generale” a tutte le scelte, per vivere in modo orientato “al servizio di Dio Nostro Signore” (ES, 169e) ma vale anche quando le scelte sono richieste dalle conseguenze di precedenti scelte che si è compreso non essere state rettamente orientate alla volontà di Dio. Come ad esempio quando constatiamo il fallimento del rapporto umano con il coniuge e sopratutto quando comprendiamo che la scelta di sposarlo non è stata fatta “… per dare lode a Dio e per la salvezza della nostra anima” ma semplicemente per assecondare quello che era un nostro desiderio.
L’ideale proposto al cristiano da Ignazio è una vita in cui ogni scelta, grande o piccola che sia, è fatta per dare lode a Dio. Nella realtà, poiché siamo peccatori, prima o poi tutti ci troviamo a riconsiderare le nostre scelte passate, a valutarne le conseguenze per la nostra anima, a cercare di recuperare un orientamento alla volontà di Dio. Ignazio, che è un vero maestro d’anime, ne è ovviamente consapevole e guida l’esercitando ad affrontare anche questi snodi difficili e talvolta dolorosi della vita di fede. In questo caso introduce una distinzione fondamentale tra scelte “immutabili” e scelte “mutabili”: Ci sono delle cose oggetto di una scelta immutabile come il sacerdozio, il matrimonio, ecc, e ce ne sono altre oggetto di una scelta mutabile come accettare o lasciare benefici, prendere o rifiutare beni temporali. (ES, 171).
Nel primo caso per Ignazio è chiaro che non possiamo tornare indietro:
In caso di scelta immutabile, quando cioè già sia stata fatta la scelta, non vi è più nulla da scegliere, perché quella non si può annullare, come è per il matrimonio, il sacerdozio ecc. (ES, 172a)
Mi sembra significativo che nel giro di poche righe Ignazio ripeta come unici due esempi di scelte immutabili gli “stati di vita” che per i cattolici vengono assunti in forza di un sacramento. Sono scelte che coinvolgono non solo la nostra volontà ma anche quella del Padre. In sostanza il santo dice: il Signore ci chiama, per amore verso di noi, ad uno stato di vita che Lui ha pensato per noi e per il nostro bene. A tale chiamata dovremmo conformare la nostra scelta (e proprio a questo, per inciso, dovrebbe servire il discernimento). Tuttavia Dio rispetta la nostra libertà ed opera attraverso i sacramenti con la sua potenza creatrice e redentrice anche quando la nostra scelta è “disordinata e distorta” (ES, 172c) dai nostri desideri e non è la risposta ad una “…vocazione divina, come alcuni pensano erroneamente” (ES, 172c).
E’ questo rispetto di Dio per noi che fa sì che le scelte di vita che implicano una specifica grazia di stato, come nel caso del matrimonio e del sacerdozio, siano “immutabili”. Perciò quando si comprende che la scelta è stata fatta per seguire i nostri desideri piuttosto che quello che Dio stesso ha desiderato per noi, non possiamo tornare indietro. Non ci resta che servire Dio nella condizione nella quale abbiamo in qualche modo “preteso” che Dio ci ponesse: Se quella scelta non è stata fatta con rettitudine e nel modo dovuto, cioè senza inclinazione disordinata, si dovrà cercare dopo essersi pentito, di condurre una vita onesta in quella propria scelta. (ES, 172b)
Questa interpretazione dei passi degli Esercizi Spirituali che ho citato è coerente con quanto Ignazio afferma altrove nello stesso libro. I consigli sulle scelte seguono gli esercizi relativi alla considerazione sugli “stati di vita”. Al punto 135d il santo fondatore dei Gesuiti propone un esercizio che riguarda il “come dobbiamo comportarci per arrivare alla perfezione in qualunque stato e condizione di vita Dio Nostro Signore ci concedesse di scegliere (ES, 135d). Dio per Ignazio “ci concede di scegliere” in senso pieno: scegliere anche quella che NON è la nostra vocazione divina. Drammatica libertà davvero, quella che ci viene concessa!
Nel caso di scelte immutabili fatte seguendo inclinazioni disordinate, per tendere alla perfezione, dobbiamo condurre “una vita onesta in quella propria scelta”. Come dobbiamo dunque interpretare questa onestà della vita raccomandata da Ignazio? Nel caso di un matrimonio che ormai appare un errore, una scelta non corrispondente alla vera vocazione, cosa significa vivere “onestamente”? Non mi sembra plausibile alcuna interpretazione che ammetta una relazione di tipo coniugale con qualcuno che non sia colui che Dio ha reso nostro coniuge. Non vorrei davvero essere nei panni di Monsignor Paglia se per ventura gli toccasse di spiegare la sua interpretazione di Amoris laetitia a Sant’Ignazio! Vivere “onestamente” per Ignazio non può significare che vivere nella fedeltà al significato sacramentale del matrimonio stesso: che ci piaccia o meno siamo ormai una sola carne con il nostro coniuge anche se non lo amiamo più, in modo del tutto evidente quando ci sono figli ma altrettanto vero anche quando non ci sono. Dio infatti non ritira i suoi doni, e la grazia concessa per quel matrimonio che forse abbiamo “preteso” come un diritto invece che “accolto” come un dono rimane comunque viva, pronta ad agire in noi.
A queste premesse fondamentali sul giusto orientamento da seguire nel caso di scelte immutabili seguono una serie di suggerimenti bellissimi su come fare discernimento riguardo alle scelte mutabili, nel caso delle quali non solo si deve cercare di “perfezionarsi al massimo” quando le abbiamo fatte “con rettitudine e nel modo giusto, senza tenere conto della sensualità e del mondo” (ES, 173) ma si può in qualche modo correggere scelte sbagliate o abbandonandole oppure scegliendole nuovamente ma questa volta con il giusto orientamento: … se quella scelta mutabile non è stata fatta rettamente e sinceramente, allora è utile farla come si deve qualora si desideri che da essa nascano frutti notevoli e molto graditi a Dio. (ES, 174)
Nelle agili annotazioni di Ignazio (ES, 173 – 189) la ragione dialoga e si pone al servizio della fede e la fede illumina continuamente la ragione. Il discernimento secondo Ignazio di Loyola non è un narcisistico interrogarsi su quali siano i propri veri desideri, come molta sentimentale catechesi di oggi sembra credere, ma piuttosto, al contrario, è un cercare di distaccarci per quanto possibile dai nostri desideri per consentire a Dio di farceli guardare con i suoi occhi, secondo verità. Dopo avere ricordato il fine per cui è stato creato il cristiano deve … in base a ciò, rimanere indifferente, senza nessuna propensione disordinata, in modo tale da non essere incline o mosso a prendere la cosa in esame piuttosto che a lasciarla, nè a lasciarla piuttosto che a prenderla. (ES, 179b)
Solo quando saremo “indifferenti” verso di essa, infatti, potremo chiedere a Dio di orientare la nostra scelta pregando (ES, 180a) e “riflettendo bene e fedelmente col proprio intelletto” (ES, 180b).ù
​

Benedetto Rocchi
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