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PAZZI ALLO SBARAGLIO: AVANTI CON L'ANTIPAPA

25/1/2023

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Sta succedendo qualcosa di clamoroso e incredibile!! Tenetevi forte!
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Il 30 GENNAIO, a ROMA, un’assemblea di ex intelligenti, capeggiata da un tal Alexis Brugnolo (Minutella non c'entra) ha deciso di eleggere per i fatti suoi un nuovo Papa, perché Bergoglio per loro non lo è legittimamente! Capito?? Un nuovo Papa eletto da chiunque, e cioè in realtà un antipapa, che si iscrive all'albo d'oro dei giuggioloni che brucano il prato dell'eresia e che partecipano da secoli al concorso "L'isola del papa che non c'è".
​
E la cosa più (tragi)comica, che farebbe sbellicare dalle risate anche un depresso grave, è che Minutella (ex don, ex teologo, ex tutto), che pure sostiene che Bergoglio non è Papa, è in totale disaccordo con questi tali e in un video esilarante in cui dice che “il cielo non ha ancora dato indicazioni” (daje, aspettiamo che ci parli o augusto Minutella!), invita - e menomale - a non unirsi a questa assemblea diabolicamente avanzata e teologicamente svenuta e priva di sensi e di senso.
Cioè, persino Minutella prende le distanze! Apoteosi!
La suddetta assemblea, che se andasse al governo domani sarebbe votata da 3 o 4 persone, parenti compresi, ha pure convocato tutti ad unirsi all’elezione del Pontefice, a Roma, presso un Hotel (che non nomino per non fargli pubblicità). Capito?? Un Papa eletto in Hotel! Immagino già il primo discorso mistico e metaforico: “cari fratelli e sorelle, questo papato sarà a cinque stelle; siate camerieri nella vita, pulite le stanze della speranza, e ricordatevi che la Chiesa è la reception della fede”. E ironia della sorte, l’elezione, si terrà nella Sala Michelangelo dell'Hotel!

Ma non è finita: udite, udite: si legge nella convocazione che chi vorrà partecipare all’elezione del futuro "pontefice" dovrà presentare un “documento d’identità e di residenza/domicilio e la prova che sei stato battezzato, o cresimato, o sposato nella Chiesa cattolica”. E qui si volaaa! Nemmeno l’ufficio parrocchiale più zelante al mondo era arrivato a tanto.
Il livello di reflusso gastro-teologico ha raggiunto in poche ore picchi di acidità impressionanti, accompagnato talvolta da manifestazioni più o meno ossessive di rigurgiti di ignoranza totalmente distillata, emessi (in questo caso) da chi pretende di difendere la Tradizione e non si rende conto che va contro la Tradizione stessa e contro la Dottrina del Magistero della Chiesa Cattolica.

Vorrei poi che il caro Minutella, che finalmente ha denunciato una cosa giusta in vita sua, riflettesse su tutto questo, perché tali fatti avvengono in realtà anche come contorno di ciò che lui sta portando avanti e che, anche senza saperlo o volerlo, crea un clima pesante, ostile e reazionario nella Chiesa.
Oggi lui si lamenta per questa proposta di falsa, aberrante ed inesistente elezione, ma dovrebbe un tantino vergognarsi e fare ammenda per i propri errori, visto che ha trascinato e sta trascinando tante persone verso la menzogna.

I santi non facevano così: anche quando sapevano e vedevano che c'era un Papa che non portava avanti il suo compito in modo giusto o fedele, tenevano unito il gregge, pregavano per lui, e quando dovevano correggere lo facevano con estrema carità, ma rimanevano nel gregge della Chiesa in piena comunione.
Santa Caterina da Siena, che pure corresse il Papa di allora in modo molto schietto, arrivò a dire: "quand'anche egli fosse il demonio in terra, dovremmo portargli rispetto, per quello che rappresenta".
Questa è la differenza tra chi vuole davvero riformare la Chiesa e chi invece non fa altro che affossarla.
Le motivazioni portate da Minutella e derivati, sul fatto che Bergoglio non sia il Papa, sono ontologicamente inesistenti, teologicamente evanescenti e canonicamente stitiche, e non vale la pena elencarle, altrimenti rischiate uno schock spiritualmente pericoloso.

Nessuno nega che il Papa possa sbagliare in diverse cose (l'infallibilità vale infatti per casi molto circoscritti), ma un conto è sottolineare l'errore, un conto è buttare il bambino con l'acqua sporca. Questo è il tipico sbaglio nel quale cadono gli eretici di professione: partono da qualche protesta (che se formulata meglio può essere anche giusta) ma poi negano tutto il resto o affermano corbellerie. Questo modus agendi non viene da Dio.

Rinnovo il mio appello a tutti voi, amici, di non favi abbindolare da queste fantasie: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine" (Eb 13,8). Negli ultimi tempi infatti "non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole" (2Tm 4,3-4).

Rimanete nella Chiesa di Cristo e respingete la nevrosi spirituale e dottrinale che serpeggia nelle connessioni cerebrali dell'uomo di oggi. E purtroppo le diagnosi ecclesiologicamente patologiche sono tante e sono note.
Solo che c'è chi pensa di curarle nella Sala Michelangelo di un Hotel, con la triste constatazione che stiamo ancora all'antipasto dell'iniquità, che ora più che mai è in atto, e sta facendo sfracelli. Ma eravamo già stati avvisati di questo.
La cosa importante è non rimanere nella "Hall" dell'albergo, ma evangelizzare e testimoniare con forza e coraggio il Vangelo.
Poi quando il nuovo (falso) papa eletto il 30 gennaio avrà fatto il giro tra i tavoli portato sul suo carrello alimentare per salutare i suoi fedeli camerieri che lo saluteranno con i tovaglioli bianchi, e dopo aver salutato la piazza della sala da pranzo "San Pietro", tutta gremita di gente gastro-lesa per quello che ha appena visto e sentito, si ricordi che c'è un conto da pagare.
E a quella reception, quella divina, dovremo presentarci tutti. E non sarà come quella dell'Hotel, ma sarà giusta e terrà conto del nostro soggiorno sulla terra.

Buon Menù, allora. E che sia una "dolce" elezione.
Fateci almeno sapere da quale stanza di albergo si affaccerà l'esimio sommo pontefice. Sperando che non si trovi vicina alla 666.

di Andrea Palmentura
totalmente condiviso da NAZARETH FAMIGLIA DI DIO

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UNA PROPOSTA RADICALE PER LA RINASCITA EUCARISTICA

21/1/2023

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Inquietante. È l’unica parola che può descrivere adeguatamente lo studio Pew Research 2020. Lo studio ha intervistato i cattolici sulla loro fede nella Presenza Reale di Cristo nella Santa Eucaristia. Quasi il 70% degli intervistati ha risposto di no. Agghiacciante, ma non sorprendente. Anche uno sguardo casuale ai parrocchiani che ricevono la Santa Comunione nella maggior parte delle parrocchie cattoliche rivela una disinvoltura che è eloquente.

Non è necessario essere un fenomenologo esperto per apprezzare l’importanza degli atti simbolici nella rivelazione di sé da parte dell’uomo. L’insensibilità di fronte alla Santa Eucaristia è un segno dannoso, non solo della totale assenza di una pietà rudimentale, ma anche di una fede appassita nella dottrina stessa. L’una deriva dall’altra con la stessa certezza con cui il giorno segue la notte. Se un cattolico mostra tanta attenzione per la Santa Eucaristia quanto per la raccolta delle ordinazioni da Starbucks (è una catena di caffè statunitense, ndr), c’è qualcosa che non va.

I vescovi americani sembrano aver notato questa allarmante anomalia nell’ultimo anno. È strano che abbiano individuato questo crollo dottrinale così di recente, dato che è evidente da oltre mezzo secolo. È un po’ come se un uomo venisse morso da uno squalo e gridasse solo un’ora dopo.
Chiaramente, questo sgretolamento del dogma centrale della Chiesa cattolica ha avuto i suoi cospicui antecedenti – antecedenti sostenuti da strategie accuratamente pianificate; tutte giacenti tra i grandi della teologia per decenni. Molti, ora dimenticati, hanno gettato le fondamenta della Fede cattolica svilita, oggi così diffusa. Per citarne solo alcuni:
  • Edward Schillebeeckx, OP, e la sua attenuazione della grazia attraverso i sacramenti
  • Karl Rahner, e il suo “esistenziale soprannaturale”; per non parlare del suo articolo iconoclasta “Come ricevere un sacramento e intenderlo”
  • Tutta l’ opera di Concilium (rivista di teologia, ndr)
  • La teologia sacramentale della Theological Society of America, dal 1965 ad oggi

Anche se questo elenco non è certo esaustivo (anzi, è piuttosto scheletrico), suggerisce il formidabile slancio che ha fatto cadere i pilastri su cui poggia l’attuale crisi.

Tutto questo lavoro teologico cerebrale può essere definito solo il manico della lancia. La punta della lancia era a due punte: la liturgia e la catechesi. Senza di esse, la rivoluzione per minare la Santa Eucaristia sarebbe nata morta. Questi due vasi sono quelli che portano la Fede ai fedeli comuni. La liturgia e la catechesi infondono non solo la dottrina, ma anche la pietà e l’intera identità e lo slancio cattolico.

Le riflessioni esoteriche dei finti studiosi cattolici avrebbero preso polvere sugli scaffali delle università/seminari se non fossero state tradotte in pratica dagli strumenti della liturgia e della catechesi. Questo è esattamente ciò che è stato fatto con risultati impressionanti e di ampio respiro. Nel caso della catechesi, il vecchio Catechismo di Baltimora ha ancorato saldamente la Fede nelle menti dei giovani; il suo successore lascia i giovani cattolici alla deriva in un mare di flaccidità passatista degli anni Sessanta. E tutto questo è avvenuto negli ultimi sessant’anni sotto gli occhi poco attenti di pastori e vescovi. O, forse, dovremmo dire, occhio vigile?

Questa trasformazione della teologia eucaristica è stata così profonda che oggi i cattolici benpensanti chiamano con sicurezza la Messa “un pasto” e la Santa Eucaristia “pane di comunione”. Secondo questa logica, è abbastanza offensivo, per non dire perseguibile, rifiutare a qualsiasi uomo o donna l’accesso alla Santa Eucaristia. Non sono pochi i vescovi che ringhiano contro un sacerdote che ripete pubblicamente i requisiti tradizionali per ricevere la Santa Comunione. Quindi molto “poco accogliente”, vedete. Questa allarmante rottura dottrinale si è radicata così profondamente da dettare persino nuove forme architettoniche per le chiese, confermando il principio di Marshall McLuhan: il mezzo è il messaggio.

Questo utile scenario ci riporta ai vescovi. Il sondaggio Pew è stato un po’ di acqua fredda spruzzata in faccia, o in faccia ad alcuni. Bisogna fare qualcosa. Purtroppo, lanciare una rinascita eucaristica di tre anni che culmini in un Congresso eucaristico nel 2024. Ogni cattolico preghi perché abbia successo.

Ma, a tal fine, è necessario avanzare alcune proposte. A prima vista, possono sembrare radicali. In effetti, lo sono, ma solo perché si contrappongono in modo così netto al panorama malconcio dell’attuale pratica eucaristica. Alcune di queste proposte possono persino sembrare così antidiluviane da risultare ridicole. Ma questo dimostra ulteriormente che la dottrina eucaristica è diventata così svilita che queste cose sembrano quasi tabù, come parole di quattro lettere.

Prima proposta: I tabernacoli tornino al centro di ogni chiesa. È interessante notare come i “liturgisti” si siano fatti carico di questo spostamento del tabernacolo dal centro di ogni chiesa ai lati, se non addirittura fuori dalla chiesa stessa. Si sono appellati al Vaticano II, lo strumento preferito per imporre alla Chiesa novità che riconfigurano la fede. In realtà, il relativo canone del 1983 (derivato dalla Sacrosanctum Concilium) lo contraddiceva:

  • Il tabernacolo in cui viene regolarmente riservata l’Eucaristia deve essere collocato in una parte della Chiesa che sia ben visibile, distinta, ben decorata e adatta alla preghiera.” (Canone 938:2)

Solo chi ha un’agenda maldisposta potrebbe interpretare questa direttiva come qualcosa di più di un mantenimento dello status quo delle chiese prima del Concilio. Punto. Qualsiasi messa in disparte del tabernacolo trasmette l’indiscutibile messaggio di mettere in disparte Cristo stesso. Nessuna dissimulazione teologico-liturgica può nasconderlo. I liturgisti possono non rispettare le leggi ineludibili del simbolo naturale, ma la gente comune sì.

Seconda proposta: Abolire la comunione in mano. Questa pratica, contrabbandata all’inizio degli anni Sessanta, era una rottura non celata con una tradizione millenaria che radicava profondamente una comprensione riflessiva della Santa Eucaristia. Con disinvoltura, la pratica tradizionale trasmetteva sia agli illetterati che ai dotati l’ineffabile sacralità del sacramento dell’altare. Non sono necessarie parole, né lunghe spiegazioni. Così l’immediatezza dell’atto simbolico: informare, elevare e appassionare.

La Chiesa è l’unica a sondare il potere del simbolo con il suo repertorio di atti rituali, tutti realizzati senza teatralità o kitsch, ma incarnando ogni elemento di autentica drammaticità. Ne emerge un connubio unico tra la più alta capacità poetica dell’uomo e le pennellate divine della Terza Persona.

I primi anni Sessanta, quell’epoca miserabile che giustamente merita l’epiteto di W.H. Auden sugli anni Trenta, “quel decennio basso e disonesto”, hanno inaugurato la fine della Comunione riverenziale e critica sulla lingua, che può essere fatta risalire a un’elite teologica europea in rivolta, decisa a riorganizzare la Fede della Chiesa. Hanno fatto fatui appelli alla “sacralità dell’intero corpo” e all’innovazione come “pratica antica”. Queste argomentazioni erano mendaci alla loro prima apparizione, ma, a questo punto, hanno talmente superato la loro durata che la loro semplice menzione dovrebbe causare imbarazzo.

La sua diffusione mortale allarmò a tal punto Papa Paolo VI che promulgò il Memoriale Domini nel 1969. Qui affrontò la dannosa pratica introdotta illecitamente e ne decretò la cessazione:

  • … con l’approfondirsi della comprensione della verità del mistero eucaristico, della sua potenza e della presenza di Cristo in esso, nacque un maggiore sentimento di riverenza verso questo sacramento e si sentì che era richiesta una più profonda umiltà nel riceverlo. Si stabilì così l’usanza che il ministro ponesse una particella di pane consacrato sulla lingua del comunicante.

Questo metodo di distribuzione della Santa Comunione deve essere mantenuto, tenendo conto della situazione attuale della Chiesa nel mondo intero, non solo perché ha alle spalle molti secoli di tradizione, ma soprattutto perché esprime la riverenza dei fedeli per l’Eucaristia.

Terza proposta: Eliminare i ministri straordinari della Santa Eucaristia. Ancora una volta, per la mentalità cattolica comune di oggi, un suggerimento come questo suona come l’abolizione dei Dieci Comandamenti, dimostrando solo quanto sia pervasiva la comprensione distorta della Santa Eucaristia. Il fatto che pochi cattolici facciano riferimento ai ministri straordinari è un’ulteriore prova della stretta morsa dell’incomprensione dottrinale. Nel documento del 1997 promulgato dalla Sacra Congregazione per la Liturgia e la Disciplina dei Sacramenti (insieme ad altri sette dicasteri) si chiarisce la natura straordinaria del permettere ai laici di distribuire la Santa Comunione, consapevoli del facile scivolamento nel caos dottrinale:

  • Il Santo Padre osserva che “in alcune situazioni locali si sono cercate soluzioni generose e intelligenti (alla carenza di sacerdoti). La stessa legislazione del Codice di Diritto Canonico ha fornito nuove possibilità, che però devono essere applicate correttamente, per non cadere nell’ambiguità di considerare ordinarie e normali soluzioni che erano destinate a situazioni straordinarie in cui i sacerdoti mancavano o scarseggiavano.

Questi dicasteri si attenevano chiaramente a San Tommaso d’Aquino in ST III, q.82, a.3, “Se la dispensazione di questo sacramento appartenga solo al sacerdote”:

  • La dispensazione del corpo di Cristo spetta solo al sacerdote, per tre motivi. In primo luogo, perché egli consacra come nella persona di Cristo; ma come Cristo consacrò il suo corpo nella cena, lo diede anche agli altri perché ne prendessero parte. Di conseguenza, come la consacrazione del corpo di Cristo appartiene al sacerdote, così gli appartiene anche la dispensazione. In secondo luogo, perché il sacerdote è l’intermediario designato tra Dio e il popolo; quindi, come gli appartiene offrire i doni del popolo a Dio, così gli appartiene consegnare i doni consacrati al popolo. In terzo luogo, poiché per riverenza verso questo sacramento, nulla lo tocca se non ciò che è consacrato; perciò il corporale e il calice sono consacrati, così come le mani del sacerdote, per toccare questo sacramento. Perciò non è lecito a nessun altro toccarlo se non per necessità, ad esempio se dovesse cadere a terra o in qualche altro caso di urgenza.

Quarta proposta: La ricezione della Santa Comunione deve avvenire sempre in ginocchio. Negli ultimi anni si è scatenata una guerra contro i pochi cattolici che seguono la cristallina logica interiore della dottrina cattolica ortodossa, inginocchiandosi per ricevere la Santa Comunione. Nella loro furia di abolire l’inginocchiatoio, gli Innovatori invocano la vuota scusa dell’uniformità e della “consuetudine locale”. Anche il più ingenuo dei cattolici vede in questa scusa la nuda dissimulazione che è. Si sta in piedi per prendere un pranzo gratis, non per ricevere il Pane degli Angeli (perdonatemi, questo tipo di linguaggio sacrale fa accapponare la pelle alla Vecchia Guardia). È sconcertante che gli stessi pastori che hanno perpetrato questa non tanto velata diminuzione della dottrina eucaristica desiderino ora promuovere la dottrina eucaristica.

Tentare ancora di nascondere le cause del degrado della credenza eucaristica è monumentalmente falso, alla pari del “Mago” di Oz che ordina a Dorothy: “Non fare caso a quell’uomo dietro la tenda!”.

I nostri bravi vescovi non hanno avuto paura di compiere gesti radicali in passato, anche quando hanno fatto sobbalzare i fedeli. Perché non un altro? O altri quattro?

Eccellenze, scuotete lo status quo. Non abbiate paura di scioccare. Salite sulla terza rotaia.

Siate pionieri. Intraprendete un sorprendente revival eucaristico.

Uno tradizionale. L’unica cosa che dovete perdere è una crisi.

da www.sabinopaciolla.com
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BREVE CONFUTAZIONE DI ALCUNE TEORIE INSOSTENIBILI

7/1/2023

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Munus, ministerium e amenità varie. Breve confutazione di alcune teorie insostenibili.
 
“Non c’è nessun dubbio che c’è stato sempre un solo Papa, e si chiama Francesco” Mons. Georg Gänswein
 
Di questi tempi, diversi fedeli – vuoi sconcertati da alcune azioni di papa Francesco, vuoi confusi dalla novità del c.d. “papato emerito” e da curiose teorie che circolano in rete e sui giornali – ritengono che in seguito alla scomparsa di Joseph Ratzinger, “unico vero papa”, il soglio petrino sia oggi vacante.
Secondo queste ricostruzioni, Benedetto avrebbe validamente rassegnato le dimissioni dall’esercizio attivo del suo ministero (ministerium) come vescovo di Roma, ma sarebbe comunque rimasto l’unico e solo Papa fino al giorno della sua morte, perché le dimissioni sarebbero state valide soltanto quanto all’esercizio attivo del ministero (ministerium), e non rispetto all’ufficio (munus) stesso.
 
Inscindibilità di munus e ministerium. La declaratio.
Il primo problema è che il munus e il ministerium non possono essere separati. Così come non è possibile dimettersi dal munus mantenendo il ministerium, nemmeno è possibile dimettersi dal ministerium mantenendo il munus. Se un Papa si dimette dal ministerium, il munus stesso diventa vacante. Benedetto lo ha chiarito nella declaratio del 2013, quando ha detto:
 
“declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse”
“dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.
Si noti che l’intenzione dichiarata da Benedetto XVI è quella di rinunciare al ministero “in modo che” la sede di Pietro si renda vacante (e non “impedita”!). In altre parole, l’intenzione dichiarata è quella di rinunciare al ministero e all’ufficio.
 
Rinuncia al ministerium – rinuncia alla giurisdizione – rinuncia al papato.
Ma supponiamo, per amor di discussione, che Benedetto non intendesse dimettersi “in modo che la sede di San Pietro diventi vacante”, ma intendesse invece solo dimettersi dall’esercizio attivo del ministero, pur mantenendo l’ufficio stesso. E supponiamo inoltre che, di conseguenza, fosse valida solo la rinuncia all’esercizio attivo del ministero.
Anche se tutto ciò fosse vero, Benedetto avrebbe comunque cessato di essere Papa (completamente) il 28 febbraio 2013 per il seguente motivo:
ciò che rende un uomo Papa è il possesso della giurisdizione dell’ufficio papale.
La giurisdizione è ciò che dà al Papa l’autorità di “esercitare attivamente il ministero”: insegnando, governando e santificando. La giurisdizione è la forma dell’ufficio papale. Rinunciando all’“esercizio attivo del ministero”, Benedetto si è quindi spogliato della giurisdizione, e spogliandosi della giurisdizione ha cessato formalmente di essere Papa.
Il fatto che Benedetto abbia intenzionalmente rinunciato alla sua giurisdizione è confermato dal titolo che ha scelto: “Papa emerito”. Chi detiene il titolo di un ufficio gode dei diritti, dei doveri e dei privilegi dell’ufficio stesso. “Emerito” è il titolo dato a un vescovo in pensione (canone 402.1): vale a dire, a un vescovo che ha rinunciato alla sua giurisdizione su una diocesi affinché un altro possa assumerla.
Quindi anche il titolo scelto da Benedetto conferma che egli si è volontariamente spogliato della sua giurisdizione e, rinunciando alla giurisdizione, ha cessato di essere Papa.
Lo studio del professor Stefano Violi, professore di diritto canonico, è stato il primo a sostenere che Benedetto intendeva rinunciare solo a una parte del papato, ossia all’“esercizio attivo dell’ufficio”.
Già nel 2014 scrissi un articolo a proposito dello studio del prof. Violi, citandovi i seguenti estratti da un articolo sullo stesso argomento che Vittorio Messori pubblicò sul Corriera della Sera.
Si noti con attenzione come Messori ricostruisce ciò a cui, secondo Violi, Benedetto avrebbe inteso rinunciare, e ciò che invece avrebbe inteso mantenere:
Nella formula impiegata da Benedetto, si distingue innanzitutto tra il munus, l’ufficio papale, e la executio, cioè l’esercizio attivo dell’ufficio stesso. Ma l’executio è duplice: c’è l’aspetto di governo che si esercita agendo et loquendo, lavorando ed insegnando. Ma c’è anche l’aspetto spirituale, non meno importante, che si esercita orando et patendo, pregando e soffrendo. È ciò che starebbe dietro le parole di Benedetto XVI: “Non ritorno alla vita privata… Non porto più la potestà di guida nella Chiesa [cioè la giurisdizione] ma, per il bene della Chiesa stessa e nel servizio della preghiera, resto nel recinto di San Pietro”. Dove “recinto” non andrebbe inteso solo nel senso di un luogo geografico dove vivere ma anche di un “luogo” teologico.
Benedetto XVI si è spogliato di tutte le potestà di governo e di comando inerenti il suo ufficio [cioè della giurisdizione], senza però abbandonare il servizio alla Chiesa: questo continua, mediante l’esercizio della dimensione spirituale [pregare e soffrire] del munus pontificale affidatogli. A questo, non ha inteso rinunciare. Ha rinunciato non al compito, che non è revocabile, bensì alla sua esecuzione concreta.
​
Questo “ufficio” di pregare e soffrire (orando et patendo) – che è quanto, secondo il professor Violi, Benedetto XVI avrebbe inteso mantenere – non richiede giurisdizione. Lo richiede, invece, l’ufficio di lavorare e insegnare: esso richiede “la potestàdi guida nella Chiesa”, che è ciò che Benedetto ha esplicitamente dichiarato di “non portare più”. E se Benedetto “non porta più” la “potestà di guida” (che è la giurisdizione) non è più papa, poiché la giurisdizione è ciò che rende il papa il (solo e unico) papa.

Robert Siscoe
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NIENTE BIDEN AI FUNERALI

5/1/2023

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Il presidente Usa parla di impedimenti logistici. Ma la Casa Bianca conferma: espressa richiesta di Ratzinger.

​La notizia è di quelle “bomba”, anche se difficilmente ad essa sarà dato risalto sui giornaloni italiani, tutti più o meno progressisti ma anche tutti impegnati in questi giorni a dare una immagine edulcorata e comprensiva di un pontefice, Benedetto XVI, che è stato da loro osteggiato e vilipeso oltre ogni misura quando era in vita. In verità, già che un presidente degli Stati Uniti non fosse presente ai funerali di un pontefice era una notizia abbastanza clamorosa. A mia memoria non era mai accaduto prima, nonostante che, al contrario di Biden, i presidenti precedenti non fossero cattolici.

Il fatto è che, se non altro, l’elettorato cattolico non è irrilevante in America e fa gola da sempre ai politici d’oltre Atlantico. Ma ancor veramente clamoroso risulta il motivo dell’assenza di Biden, che si è evinto da una sua risposta ai giornalisti che gliene chiedevano ragione. Imbarazzatissimo, il presidente ha parlato dei problemi logistici e di sicurezza che un suo spostamento avrebbe creato. Ma la Casa Bianca ha dovuto ammettere, per bocca di una sua portavoce, che il presidente non sarebbe stato presente alle esequie perché il papa defunto e il Vaticano avevano espresso la precisa volontà che, in rappresentanza degli Stati Uniti, ci fosse solamente l’ambasciatrice presso la Santa Sede, Joe Donnell.

Il niet di Ratzinger, se confermato, non potrebbe che essere imputato al suo dissenso verso un Presidente che, pur essendo cattolico, si è detto favorevole all’aborto, oltre ad avere sposato senza tentennamenti le posizioni progressiste e radicali, sostanzialmente anticattoliche, dei democratici americani di questi anni. Che Benedetto XVI colpisca anche ora che non c’è più è un paradosso, ma anche un motivo di soddisfazione per chi ritiene che la sua opera per riportare la Chiesa ai suoi valori originari, quelli che l’hanno tenuta in vita per due millenni, sia stata sacrosanta e vada ripreso.

Da questo punto di vista, le notizie che arrivano dal mondo cattolico americano dicono che la compatta e folta schiera dei vescovi e dei cattolici contrari alle politiche di papa Francesco si ritiene sciolta dai vincoli che la presenza del papa emerito di fatto imponeva. Ed è pronta a combattere una battaglia, forse “finale”, per spostare il baricentro della Chiesa Cattolica su posizioni più confacenti e concordanti con la sua lunga storia: non una agenzia di “pronto soccorso etico”, o addirittura una sorta di Ong, ma una istituzione che richiami con la sua presenza le grandi questioni di senso che sono legate alla vita umana.
​
Corrado Ocone, 5 gennaio 2022
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C'E' SEMPRE STATO UN SOLO PAPA: FRANCESCO

2/1/2023

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Cari amici, ci sembra interessante offrire alla vostra attenzione questa anticipazione di un’intervista che andrà in onda su Rai Tre giovedì sera, all’arcivescovo Georg Gaenswein, segretario di Benedetto XVI. Interessante da un punto di vista umano, ma che non chiarisce molto sulle ragioni che hanno spinto Benedetto XVI alla rinuncia. Gaenswein comunque sostiene che in seguito alla rinuncia il papa era ed è Francesco.

Monsignor Georg Gänswein, lei ha 66 anni, da 38 è al servizio della Chiesa, oggi è Prefetto della Casa Pontificia ma soprattutto è stato segretario privato del Papa emerito Benedetto XVI, gli è stato accanto fino al momento della morte, e prima nel giorno dell’elezione e in quello della rinuncia che ha stupito il mondo. C’è un’immagine quasi simbolica dell’abdicazione, ed è l’elicottero che porta via il Papa dal Vaticano verso Castel Gandolfo per rientrare nel secolo. Lei c’era, su quell’elicottero. Che cosa ricorda di quell’ultimo atto?
«La prima cosa che ricordo è il congedo del Palazzo apostolico. Io sono stato l’ultimo che ha lasciato l’appartamento, ho spento le luci, questo era per me un atto già molto commovente, ma anche molto triste. Ho chiuso la porta. E poi siamo usciti».
 
Ma chi c’era mi ha detto che lei piangeva: è così?
«Questo è vero, mi sono commosso e quando ho visto… mi perdoni… il cardinale Comastri, quando ho visto lui piangere si è rotto qualcosa in me e ho pianto, sì. Ho cercato di trattenermi, ma la pressione era troppo grande, una specie di tsunami sopra, sotto, accanto. Non sapevo più dov’ero».
 
E il Papa si è commosso?
«Papa Benedetto era in uno stato di tranquillità incredibile, come già nei giorni precedenti».
 
Lei quando ha saputo della scelta del Papa?
«Il Papa me lo ha detto a Castel Gandolfo. Era fine settembre del 2012».
 
Come ha reagito?
«La mia reazione immediata è stata questa: Santo Padre è impossibile, questo proprio non è possibile».
Gli ha detto che non poteva farlo?
«Sì, sì, l’ho detto direttamente, così come parlo con lei adesso. Santo Padre, no. Si deve e si può pensare a ridurre gli impegni, questo sì. Ma lasciare, rinunciare è impossibile. Papa Benedetto mi ha lasciato parlare. E poi ha detto: lei può immaginare che ho pensato bene a questa scelta, ho riflettuto, ho pregato, ho lottato. E ora le comunico una decisione presa, non una tesi da discutere. Non è una quaestio disputanda, è decisa. La dico a lei, e lei adesso non deve dirla a nessuno».
 
C’era già stato tutto il travaglio dentro di lui, dunque, prima della scelta: lei se n’era accorto?
«Io mi ero accorto all’inizio di luglio che il Papa era molto chiuso, molto pensieroso. E pensavo che fosse concentrato sul terzo volume su Gesù, che stava finendo. Quando poi a fine settembre mi ha rivelato la sua scelta ho capito che stavo sbagliando: non era il libro che lo preoccupava, ma era la lotta interna di questa decisione, una sfida».
 
Lei ha tenuto questo segreto per mesi, fino alla notte prima dell’annuncio. Quella sera, salutandovi, cosa vi siete detti?
«Lui prima di ritirarsi è andato in cappella per pregare, come tutti i sacerdoti nella compieta. Lì ha fatto le sue preghiere, ma io non ho chiesto per cosa ha pregato quella sera».
 
E lei ha dormito quella notte?
«Io non ho dormito perché sapevo che il giorno dopo sarebbe stato il giorno della rinuncia. Non sono riuscito a trovare il sonno».
 
Aveva conosciuto il Papa sui libri di scuola, in seminario. Quando lo ha incontrato personalmente?
«Gli ho parlato per la prima volta nel 1995, il 10 gennaio, ventisette anni fa, qui in Vaticano nel Collegio Teutonico. Gli ho spiegato da dove venivo, cosa avevo fatto e quando ha sentito che ero stato sette anni all’Università di Monaco, il ghiaccio si è rotto. La mia prima impressione è indimenticabile: una personalità forte ma molto naturale. Mite ma molto, molto decisa».
 
Tutto cambia il 19 Aprile 2005, alle 17 e 56, quando la fumata bianca trasforma Joseph Ratzinger in Benedetto XVI, 265esimo successore di Pietro. Lei dov’era quel giorno?
«Nell’aula che collega la Cappella Sistina e la Cappella Paolina, la Sala Regia. Dopo un’ora, scoppia un applauso forte. Si poteva sentire da fuori, dov’ero io. Ma i cardinali non applaudono, il conclave non è un concerto. Allora l’unica spiegazione è che hanno scelto, e che il prescelto ha accettato. Poco dopo ricordo “Bum, Bum, Bum”, la grande porta che si apre di colpo e il più giovane cardinale che esce di fretta, dicendo “Abbiamo deciso, c’è il nuovo Papa”. Nient’altro».
 
E lei non sapeva chi era?
«No, non lo sapevo. Finché sporgendomi a guardare per capire, l’ho visto, giù in fondo».
 
Già vestito di bianco?
«Era tutto bianco, anche la faccia. Già i capelli erano bianchi. Poi lo zucchetto candido e il vestito bianco. Ma era pallido, molto pallido. E lì, in quel momento, mi ha guardato. “Santo Padre, ho mormorato, non so cosa dire, auguri, preghiere”. Poi ho detto una cosa importante per me: “Io le prometto il mio servizio, se vuole, in vita e in morte. Durante tutta la mia vita, fino alla morte o anche nella morte».
 
Ma immediatamente prima del Conclave c’era stata quella frase di Ratzinger sulla pedofilia tra i sacerdoti, quando dice “quanta sporcizia nella Chiesa”. Questa denuncia davanti ai cardinali era una specie di programma di governo?
«Non deve dimenticare che da Prefetto era stato il primo, o uno dei primi, a venire a contatto con questa brutta piaga degli abusi. È ovvio che una tale esperienza non può non essere presente nella Via Crucis 2005».
 
Poi c’è la prima omelia all’inizio del pontificato, quando il nuovo Papa dice pregate per me, perché io non fugga per paura davanti ai lupi. Di quali lupi parlava?
«Qualcuno mi ha chiesto se potevo fare qualche nome. Chiedete al Papa stesso, ho risposto, io non so se ha pensato a qualcuno, ma non lo credo. Certamente quell’immagine vuol dire non è facile anche essere coerente, controcorrente, e mantenere questa direzione se molti sono di un’altra opinione».
 
Però si capisce da queste parole che lui aveva la percezione che non sarebbe stato un papato di tranquillità, ma di lotta: se lo aspettava?
«Chi crede che ci possa essere un papato di tranquillità credo che abbia sbagliato la professione».
 
Però forse non immaginavate che questa lotta sarebbe nata proprio all’interno del Vaticano, con scandali sessuali, morali, economici. Una crisi più pesante del previsto?
«La parola scandalo certamente è un po’ forte, ma vero è che durante il pontificato ci sono stati molti problemi, Vatileaks, poi lo Ior. Ma è ovvio che, come direbbe Papa Francesco, il cattivo, il maligno, il diavolo non dorme. È chiaro, cerca sempre di toccare, di colpire dove i nervi sono scoperti, e fa più male».
 
Sta dicendo che ha sentito la presenza del diavolo in quegli anni?
«L’ho sentito in realtà molto contrarie, contro Papa Benedetto».
 
Vatileaks è uno scandalo enorme, fa il giro del mondo. D’altra parte, pensiamo, documenti riservati rubati direttamente dalla scrivania del Papa, dal suo maggiordomo. Com’è stato possibile?
«Qui devo fare una piccola correzione. I documenti non sono stati rubati dalla scrivania di Papa Benedetto, ma dalla mia. Purtroppo me ne sono accorto molto, molto più tardi, troppo tardi. Io ho parlato con Benedetto, chiaramente, gli ho detto Santo Padre, la responsabilità è mia, me la assumo. Le chiedo di destinarmi a un altro lavoro, io mi dimetto. No, no, mi ha risposto: vede, c’era uno che ha tradito persino nei 12, si chiama Giuda. Noi siamo un piccolo gruppo, qui, e rimaniamo insieme».
 
Lei sa che c’è chi pensa che il Papa abbia abdicato sotto una specie di ricatto dopo il furto dei documenti. D’altra parte noi conosciamo le carte che sono state rese pubbliche, ma non sappiamo quali altre carte sono state lette, carpite, quali magari sono state esibite come una minaccia davanti a Benedetto. Cosa risponde a un’ipotesi del genere?
«Lo escludo totalmente. Non c’era nient’altro di peso».
 
Papa Benedetto recentemente è stato chiamato in causa per una vicenda di abusi sessuali del 1980, quando era arcivescovo di Monaco. Lui un anno fa ha scritto una lettera per scusarsi del suo comportamento, dicendo che forse doveva investigare di più, farsi più domande, però al tempo stesso respinge categoricamente l’accusa di aver detto delle bugie. È il sentimento della colpa?
«C’è stato un errore da parte uno dei nostri collaboratori, perché abbiamo dovuto leggere 8.000 pagine della documentazione, e la persona che ha letto le carte ha detto che in quella famosa riunione del 15 gennaio 1980, il Cardinal Ratzinger non era presente».
 
Perché questa bugia?
«Il nostro collaboratore ha sbagliato le date, una cosa brutta. Quando io ho detto Santo Padre, qui abbiamo sbagliato, Benedetto ha deciso di scrivere una lettera personale, così nessuno può dire che non abbia risposto in prima persona».
 
Naturalmente la questione è se questi scandali hanno influito sulla rinuncia di Ratzinger. Lei dice di no, cito le sue parole: non è fuggito dai lupi, ha semplicemente e umilmente ammesso di non avere più la forza per reggere la chiesa di Cristo. Di nuovo i lupi. Le domando, quei lupi il Papa li ha incontrati?
«Io ho parlato una volta di questo con Papa Benedetto, ma tutti questi scandali, come vengono chiamati, non erano anche un motivo per lasciare? No, ha risposto, la questione non ha influito sulla mia rinuncia. L’11 febbraio 2013 ho detto i motivi: mi mancavano le forze e per governare. Per guidare la Chiesa, oggi, servono le forze, altrimenti non funziona».
 
Però Benedetto veniva dopo un Papa come Giovanni Paolo II, che ha vissuto in pubblico la sua malattia e quasi ha offerto la sofferenza del corpo come testimonianza della sua fede, anche in coerenza col suo motto papale: Totus tuus. Come si è confrontato Benedetto con la scelta del suo predecessore?
«Lui mi ha detto una volta: non posso e non voglio copiare il modello di Giovanni Paolo II nella malattia, perché io devo confrontarmi con la mia vita, con le mie scelte, con le mie forze. Ecco perché il Papa si è permesso di fare questa scelta. Che secondo me richiede non soltanto molto coraggio, ma anche moltissima umiltà».
 
Questa scelta pone anche una domanda al teologo Ratzinger, e cioè la tentazione dell’umano di deviare il disegno divino che l’ha portato sulla cattedra di Pietro: l’uomo può farlo?
«L’uomo deve prendere la decisione che in quel momento secondo lui è giusta».
 
Lei era accanto al Papa nel 2009 all’Aquila, davanti alla teca dov’è custodito il corpo di Celestino V, l’unico pontefice che, come Ratzinger, fece liberamente la rinuncia nel 1294; e lei aiuta Benedetto che si è sfilato il pallio a deporlo sulla teca di Celestino V. Perché quel gesto che sembra un’autoprofezia?
«Mettere sulla tomba della Chiesa distrutta di Collemaggio il pallio papale era un gesto di grande onore a Celestino. Ma non c’entra niente con un atto di rinuncia che diventerà realtà alcuni anni più tardi. Escludo un collegamento».
 
Mi racconta il mattino dell’11, il giorno della scelta?
«L’11 febbraio, la Madonna di Lourdes. Abbiamo celebrato la Santa Messa, recitato il breviario, fatto la prima colazione, il Papa si è preparato per il Concistoro. L’ho aiutato a indossare la mozzetta con la stola, poi l’ho accompagnato con un piccolo ascensore dall’appartamento alla seconda loggia. Non abbiamo parlato, niente. Cioè il silenzio era assoluto, perché non era il momento delle parole. Alla fine del Concistoro il Papa dice: Signori cardinali, rimanete qui, devo ancora dirvi una cosa importante per la vita della Chiesa».
 
Ha un foglietto in mano, lo ha scritto lui?
«Sì, direttamente in latino. Io ho chiesto perché, e lui mi ha risposto che un annuncio così si deve fare nella lingua della Chiesa, la lingua madre. Così ha letto quelle parole sono diventate la dichiarazione della rinuncia».
 
Sono le 11:30, l’ora della scelta.
«Si sente dalla voce che il Papa era commosso e affaticato: tutt’e due».
 
Alle 11:46 la notizia fa il giro del mondo. E in qualche modo è l’assoluto che deve fare il conto con il relativo, l’universale che si scontra con la debolezza umana denunciata in pubblico. In questo senso è anche l’irruzione della modernità di un’istituzione che ha 2 mila anni di vita con il Pontefice, rappresentante di Cristo in terra, che rivela la sua fragilità di fronte al peso di reggere la Chiesa universale e anche la responsabilità che ne consegue. È d’accordo con questa lettura?
«Non è una spiegazione completa, ma sono totalmente d’accordo».
 
Il cardinal Ruini mi ha detto di essere rimasto attonito, stupefatto, perché non se l’aspettava minimamente. Lei cosa ricorda delle reazioni di quel momento?
«Quando Papa Benedetto ha cominciato a leggere in latino ho visto un po’ di… come dire… di movimenti, sforzi per intendere meglio, poi poco per volta mi sono accorto che i cardinali stavano percependo che c’era qualcosa di strano. Credo che alcuni abbiano capito subito, mentre altri chiedevano aiuto al vicino. Poi quando il cardinal Sodano ha fatto un breve saluto al Papa in italiano, parlando di fulmine a ciel sereno, tutti si sono resi conto di cosa stava succedendo».
 
 
Perché Benedetto ha scelto per sé la formula di Papa Emerito, sollevando discussioni?
«Ha deciso così lui, personalmente. Penso che davanti a una decisione così eccezionale tornare cardinale sarebbe stato poco naturale. Ma non c’è nessun dubbio che c’è stato sempre un solo Papa, e si chiama Francesco».
 
Lei ha conosciuto personalmente tre Papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Se io le dico che Wojtyla rappresenta l’anima, Ratzinger la ragione e Francesco il cuore, lei che cosa mi risponde?
«Che tutte e tre le parole sono giuste, ma sono anche troppo semplici».
 
Come è cambiata la vostra vita dopo la rinuncia di Benedetto al trono Pontificio?
«Si cambia da così a così, radicalmente, da un giorno all’altro».
 
Non crede che dopo la rinuncia di Ratzinger il sacro sia diventato più umano?
«Il sacro è il sacro, e ha anche aspetti umani. Io credo che con la sua rinuncia Papa Benedetto abbia anche dimostrato che il Papa, se è sempre il successore di Pietro, rimane una persona umana con tutte le sue forze, ma anche con le sue debolezze».
 
C’è una formula che può definire tutto quello che abbiamo detto, non è la forza che cambia il disegno divino, ma la fragilità dell’uomo: è d’accordo?
«Tutte e due. cioè, ci vuole l’una, ma si deve vivere anche l’altra. Perché ci vuole forza per accettare la propria debolezza».

​​da www.stilumcuriae.com
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IL MONDO, LA CARNE E IL DIAVOLO

29/6/2021

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LETTERA APERTA dell'Arciv. Carlo Maria Viganò
IL MONDO, LA CARNE E IL DIAVOLO

''Scitote quoniam Dominus ipse est Deus: Ipse fecit nos, et non ipsi nos''.
''Sappiate che il Signore è Dio: ci ha fatti, e non noi stessi''. Sal 99,3

I nemici della nostra anima sono sempre gli stessi, e le insidie che ci tendono sono sempre le stesse. Il mondo, con le sue seduzioni; la carne, corrotta dal peccato originale e incline al male; e il diavolo, l’eterno nemico della nostra salvezza che si serve della carne per assediarci. Due nemici esterni e uno interno, sempre pronti a farci cadere in un momento di distrazione, di debolezza. Questi nemici spirituali accompagnano ognuno di noi dall’infanzia alla vecchiaia, e tutta l’umanità lungo le generazioni e le epoche.

Gli alleati su cui possiamo contare per sconfiggere il mondo, la carne e il diavolo sono la Grazia di Dio, la frequente ricezione dei Sacramenti, l’esercizio delle Virtù, la preghiera, la penitenza, la considerazione dei Novissimi, la meditazione della Passione del Signore e il vivere alla Sua presenza.

In quest’epoca ribelle e scristianizzata, in cui la società non solo non ci aiuta a perseguire il nostro fine ultimo, ma anzi fa di tutto per allontanarci da esso, l’autorità civile ci fa seguire il mondo, indulgere ai desideri della carne e servire il Nemico della razza umana. È un’autorità perversa e pervertitrice, che ha fallito nel suo dovere di governare e governare il corpo sociale per condurre gli individui alla salvezza eterna. Al contrario, essa nega la salvezza eterna, rifiuta l’Autore Divino e adora l’Avversario.

Non c’è quindi da meravigliarsi se questa modernità apostata, in cui l’azione illegale è la norma e il vizio viene offerto come esempio da imitare, vuole cancellare ogni traccia di Dio e del Bene nella società e negli individui, facendo un patto infernale con il mondo, la carne e il diavolo. Questo è ciò che vediamo accadere nella sfacciata promozione della sodomia, la perversione del vizio in tutte le sue forme più abiette, e nella derisione, delegittimazione e condanna della purezza, della rettitudine e della virtù.

Ma se oggi la nostra lotta quotidiana contro i nostri nemici deve includere anche uno sforzo titanico di lotta contro lo Stato, che dovremmo poter considerare nostro amico e che invece lavora per corromperci fin dalla più tenera età, è doloroso e tragico vedere altri traditori e mercenari unirsi a questo assedio: Pastori malvagi che abusano della sacra autorità che hanno ricevuto da Nostro Signore per spingerci verso la dannazione, per convincerci che ciò che fino a ieri era considerato peccaminoso e indegno di chi è stato redento dal Sangue di Cristo è ora diventato lecito e buono.

Lo spirito mondano, l’asservimento alla concupiscenza e – cosa ancora più grave – il rifiuto di lottare contro il Maligno hanno infettato gran parte della Gerarchia della Chiesa Cattolica, fino ai suoi più alti livelli, rendendola nemica di Dio, della Sua Legge e delle nostre anime. Come è successo con l’autorità civile, così anche l’autorità religiosa ha abdicato al suo giusto ruolo, rinnegando lo scopo stesso per cui è stata voluta dalla Divina Provvidenza.

La novità di questa perversione dell’autorità, che preannuncia lo scontro epocale dei Tempi Finali, sta proprio nella corruzione dei Pastori e nel fatto che i singoli membri dei fedeli, come un gregge senza capo, si trovano a dover resistere eroicamente a un assalto alla Cittadella su più fronti, in cui sono stati abbandonati dai loro capi, che stanno aprendo le porte e permettendo alle orde nemiche di entrare per sterminarci.

La discussione sulla proposta di legge Zan, l’imposizione dell’ideologia LGBTQ+ e l’indottrinamento della teoria gender in Italia segue un piano mirato organizzato a livello globale, che in molte nazioni è già stato portato a compimento. Nazioni in cui, anche dopo due secoli di rivoluzioni, l’impronta del cattolicesimo era sopravvissuta nel tessuto sociale, ora si sono completamente paganizzate. Le bandiere arcobaleno sventolano non solo sulla facciata delle istituzioni pubbliche, ma persino sulle facciate delle cattedrali, sui balconi delle residenze dei vescovi e persino all’interno delle chiese.

In tempi recenti – anche solo trent’anni fa – si diceva da alcuni che per sostenere una minoranza di persone traviate dal vizio e per difenderle dalla discriminazione, lo Stato doveva intervenire con forme di protezione e garanzie della loro libertà. Col senno di poi, questa era un’affermazione irragionevole e illogica, perché la libertà della persona umana consiste nell’adesione della volontà al bene a cui è ordinata la sua natura e nel perseguimento del suo fine materiale e soprannaturale. Ma nel grande inganno con cui il Diavolo ha sempre cercato di allettare l’uomo, questo apparente pretesto ha sedotto molti. Sembrava che fosse necessario il coraggio di rivendicare il diritto al vizio e al peccato contro la crudele durezza di una “maggioranza rispettabile” ancora legata ai precetti della Religione. Si rivendicava l’orgoglio di essere diversi in un mondo di uguali, di avere diritto a uno spazio per il vizio in un “mondo virtuoso”.

In quegli anni, la Chiesa levava ancora, forse con meno convinzione ma sempre fedele al suo mandato divino, la voce del magistero immutabile per condannare la legittimazione di comportamenti intrinsecamente disordinati. Attenta alla salvezza eterna delle anime, ella vedeva quali disastri avrebbero colpito la società con l’approvazione di stili di vita totalmente antitetici alla Legge Naturale, ai Comandamenti e al Vangelo. I Pastori sapevano essere coraggiosi difensori del Bene, e i Papi non avevano paura di diventare oggetto di attacchi indecorosi da parte di coloro che vedevano in loro il katechon che impediva la corruzione definitiva del mondo e l’instaurazione del Regno dell’Anticristo.

Oggi quell’eroica battaglia – che abbiamo appreso essere già indebolita da un’estesa corruzione interna di Vescovi e sacerdoti – sembra non avere più senso, così come non sembra avere più senso l’insegnamento della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa e dei Romani Pontefici. Chi siede a Roma è circondato da persone immorali che strizzano l’occhio ai movimenti LGBTQ+ e simulano ipocritamente un’accoglienza e un’inclusività che tradisce la loro scelta di campo e le loro tendenze peccaminose. Non c’è più coraggio; non c’è più fedeltà a Cristo; e si è arrivati al punto di insinuare che, se Bergoglio è stato capace di cambiare la dottrina sulla pena capitale – cosa inaudita e assolutamente impossibile – sarà certamente capace anche di rendere lecita la sodomia in nome di una carità che non ha nulla di cattolico e che è ripugnante alla Rivelazione Divina.

Le processioni blasfeme che sfilano per le strade delle capitali del mondo, e che sono arrivate al punto di bestemmiare e deridere perfidamente il Sacrificio di Nostro Signore nella Città Santa consacrata dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo, sono accolte dai mercenari della setta conciliare, che tace davanti alle sacrileghe benedizioni delle coppie omosessuali ma condanna come “rigidi” coloro che vogliono rimanere fedeli all’insegnamento del Salvatore. E mentre i buoni Vescovi e sacerdoti si confrontano quotidianamente con la demolizione che viene dall’alto, vediamo pubblicate le incantevoli e seducenti parole scritte da Bergoglio a James Martin, SJ, a sostegno di un’ideologia perversa e pervertente che offende la Maestà di Dio e umilia la missione della Chiesa e la sacra autorità del Vicario di Cristo.

Come Successore degli Apostoli e Maestro della Fede, in spirito di vera comunione con la Sede del Santissimo Pietro e con la Santa Chiesa di Dio, rivolgo loro un severo avvertimento, ricordando che la loro autorità deriva da Gesù Cristo, e che ha forza e valore solo se rimane orientata al fine per cui Egli l’ha costituita. Che questi Pastori considerino gli scandali che causano ai fedeli e ai semplici, e le ferite che infliggono al tormentato corpo ecclesiale – scandali e ferite di cui dovranno rispondere alla Giustizia Divina nel giorno del loro Giudizio Particolare e anche davanti a tutto il genere umano nel giorno del Giudizio Universale.

Esorto i numerosi fedeli scandalizzati e sconcertati dall’apostasia dei Pastori a moltiplicare le loro preghiere con uno spirito soprannaturale di preghiera e di penitenza, implorando il Signore che si degni di convertire i mercenari, riconducendoli a Sé e alla fedeltà al Suo divino insegnamento. Preghiamo la Madre Purissima, la Vergine delle Vergini, di ispirare sentimenti di pentimento nei ministri che sono stati corrotti dal peccato e dall’impurità, affinché considerino l’orrore dei loro peccati e le terribili pene che li attendono: possano rifugiarsi nelle Santissime Piaghe di Cristo ed essere purificati dal lavabo del Sangue dell’Agnello.

Ai nostri fratelli sedotti dal mondo, dalla carne e dal demonio, rivolgo un accorato appello, affinché comprendano che non c’è orgoglio nell’offendere Dio, nel contribuire consapevolmente ai tormenti della Sua Passione, nel pervertire la propria natura e rifiutare malvagiamente la salvezza che Egli ha ottenuto da Suo Padre attraverso la Sua morte sul legno della Croce. Fate delle vostre debolezze un’occasione di santità, un motivo di conversione, un’opportunità per far risplendere la grandezza di Dio nella vostra vita. Non lasciatevi ingannare da un Nemico che oggi sembra assecondare i vostri vizi con la sola intenzione di rubarvi l’anima e dannarvi per l’eternità. Siate orgogliosi, veramente orgogliosi: non della schiavitù al peccato e alla perversione, ma di aver saputo resistere alle seduzioni della carne per amore di Gesù Cristo. Pensate alla vostra anima immortale, per la quale il Signore non ha esitato a soffrire e morire. Prega! Prega Maria Santissima, affinché interceda presso il suo Figlio Divino, dandoti la Grazia di resistere, di combattere e di vincere. Offrite le vostre sofferenze, i vostri sacrifici, i vostri digiuni al Signore per ottenere quella libertà dal Male che il Seduttore vuole togliervi con l’inganno. Questo sarà il vostro vero orgoglio e anche il nostro.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

29 giugno 2021
​SS. Apostolorum Petri et Pauli
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ROMA SENZA PAPA

24/2/2021

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Roma è senza papa. La tesi che intendo sostenere si riassume in queste quattro parole. Quando dico Roma non mi riferisco solo alla città di cui il papa è vescovo. Dico Roma per dire mondo, per dire realtà attuale.
Il papa, pur essendoci fisicamente, in realtà non c’è perché non fa il papa. C’è, ma non svolge il suo compito di successore di Pietro e vicario di Cristo. C’è Jorge Mario Bergoglio, non c’è Pietro.

Chi è il papa? Le definizioni, a seconda che si voglia privilegiare l’aspetto storico, teologico o pastorale, possono essere diverse. Ma, essenzialmente, il papa è il successore di Pietro. E quali furono i compiti assegnati da Gesù all’apostolo Pietro? Da un lato, “pasci le mie pecorelle” (Gv 21:17); dall’altro, “tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16:19).

Ecco che cosa deve fare il papa. Ma oggi non c’è nessuno che svolga questo compito. “E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli nella fede” (Lc 22:32). Così dice Gesù a Pietro. Ma oggi Pietro non pasce le sue pecorelle e non le conferma nella fede. Perché? Qualcuno risponde: perché Bergoglio non parla di Dio, ma solo di migranti, ecologia, economia, questioni sociali. Non è così. In realtà Bergoglio parla anche di Dio, ma dall’insieme della sua predicazione esce un Dio che non è il Dio della Bibbia, ma un Dio adulterato, un Dio, direi, depotenziato o, meglio ancora, adattato. A che cosa? All’uomo e alla sua pretesa di essere giustificato nel vivere come se il peccato non esistesse.

Bergoglio ha certamente messo al centro del suo insegnamento i temi sociali e, tranne sporadiche eccezioni, appare in preda alle stesse ossessioni della cultura dominata dal politicamente corretto, ma ritengo che non sia questo il motivo profondo per cui Roma è senza papa. Anche volendo privilegiare i temi sociali, si può comunque avere una prospettiva autenticamente cristiana e cattolica. La questione, con Bergoglio, è un’altra, e cioè che la prospettiva teologica è deviata. E per un motivo ben preciso: perché il Dio di cui ci parla Bergoglio è orientato non a perdonare, ma a discolpare.

In Amoris laetitia si legge che la “Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili”. Mi spiace, ma non è così. La Chiesa deve convertire i peccatori.

Sempre in Amoris laetitia si legge che “la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio”. Mi spiace, ma sono parole ambigue. Nelle situazioni che non corrispondono al suo insegnamento ci saranno pure “elementi costruttivi” (ma, poi, in che senso?), tuttavia la Chiesa non ha il compito di valorizzare tali elementi, bensì di convertire all’amore divino al quale si aderisce osservando i comandamenti.

In Amoris laetitia leggiamo anche che la coscienza delle persone “può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo”. Di nuovo l’ambiguità. Primo: non c’è una “proposta generale” del Vangelo, alla quale si può aderire più o meno. C’è il Vangelo con i suoi contenuti ben precisi, ci sono i comandamenti con la loro cogenza. Secondo: Dio mai e poi mai può chiedere di vivere nel peccato. Terzo: nessuno può rivendicare di possedere “una certa sicurezza morale” circa ciò che Dio “sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti”. Queste espressioni fumose hanno un solo significato: legittimare il relativismo morale e prendersi gioco dei comandamenti divini.

Questo Dio impegnato più che altro a scagionare l’uomo, questo Dio alla ricerca di attenuanti, questo Dio che si astiene dal comandare e preferisce comprendere, questo Dio che “ci è vicino come una mamma che canta la ninna nanna”, questo Dio che non è giudice ma è “vicinanza”, questo Dio che parla di “fragilità” umane e non di peccato, questo Dio piegato alla logica dell’”accompagnamento pastorale” è una caricatura del Dio della Bibbia. Perché Dio, il Dio della Bibbia, è sì paziente, ma non lassista; è sì amorevole, ma non permissivo; è sì premuroso, ma non accomodante. In una parola, è padre nel senso più pieno e autentico del termine.

La prospettiva assunta da Bergoglio appare invece quella del mondo: che spesso non rifiuta del tutto l’idea di Dio, ma ne rifiuta i tratti meno in sintonia con il permissivismo dilagante. Il mondo non vuole un vero padre, amorevole nella misura in cui è anche giudicante, ma un amicone; anzi, meglio ancora, un compagno di strada che lascia fare e dice “chi sono io per giudicare?”.

Ho scritto altre volte che, con Bergoglio, trionfa una visione che ribalta quella reale: è la visione secondo cui Dio non ha diritti, ma solo doveri. Non ha il diritto di ricevere un culto degno, né di non essere irriso. Però ha il dovere di perdonare. Al contrario, secondo questa visione, l’uomo non ha doveri, ma solo diritti. Ha il diritto di essere perdonato, ma non il dovere di convertirsi. Come se potesse esistere un dovere di Dio a perdonare e un diritto dell’uomo a essere perdonato.

Ecco perché Bergoglio, dipinto come il papa della misericordia, mi sembra il papa meno misericordioso che si possa immaginare. Trascura infatti la prima e fondamentale forma di misericordia che compete proprio a lui e a lui solo: predicare la legge divina e, così facendo, indicare alle creature umane, dall’alto dell’autorità suprema, la strada per la salvezza e la vita eterna.

Se Bergoglio ha concepito un “dio” di questo genere – che volutamente indico con la minuscola, poiché non è il Dio Uno e Trino che adoriamo – è perché per Bergoglio non vi è alcuna colpa di cui l’uomo debba chiedere perdono, né personale né collettiva, né originale né attuale. Ma se non vi è colpa, non vi è nemmeno Redenzione; e senza necessità di Redenzione non ha senso l’Incarnazione, e tantomeno l’opera salvifica dell’unica Arca di salvezza che è la Santa Chiesa. Vien da chiedersi se quel “dio” non sia piuttosto la simia Dei, Satana, che ci spinge verso la dannazione proprio nel momento in cui egli nega che i peccati e i vizi con i quali ci tenta possano uccidere la nostra anima e condannarci all’eterna perdita del Sommo Bene.
Roma è dunque senza papa. Ma se nella distopia vaticana di Guido Morselli (il romanzo intitolato appunto Roma senza papa) lo era fisicamente, perché quel papa immaginario se n’era andato a vivere a Zagarolo, oggi Roma è senza papa in un modo ben più profondo e radicale.

Avverto già l’obiezione: ma come puoi dire che Roma è senza papa quando Francesco è ovunque? È in tv e nei giornali. È stato sulle copertine di Time, Newsweek, Rolling Stones, perfino di Forbes e Vanity Fair. È nei siti e in un’infinità di libri. È intervistato da tutti, addirittura dalla Gazzetta dello sport. Forse mai un papa è stato così presente e così popolare. Rispondo: tutto vero, ma è Bergoglio, non è Pietro.

Che il vicario di Cristo si occupi delle cose del mondo non è certo vietato, anzi. Quella cristiana è fede incarnata e il Dio dei cristiani è Dio che si fa uomo, che si fa storia, dunque il cristianesimo rifugge dagli eccessi di spiritualismo. Ma una cosa è essere nel mondo e un’altra è diventare come il mondo. Parlando come parla il mondo, e ragionando come ragiona il mondo, Bergoglio ha fatto svaporare Pietro e ha messo se stesso in primo piano.

Ripeto: il mondo, il nostro mondo nato dalla rivoluzione del Sessantotto, non vuole un vero padre. Il mondo preferisce il compagno. L’insegnamento del padre, se è vero padre, è faticoso, perché indica la strada della libertà nella responsabilità. Molto più comodo è avere accanto qualcuno che si limita a farti compagnia, senza indicare nulla. E Bergoglio fa proprio questo: mostra un Dio non padre, ma compagno. Non a caso alla “chiesa in uscita” di Bergoglio, come a tutto il modernismo, piace il verbo “accompagnare”. È una chiesa compagna di strada, che tutto giustifica (attraverso un concetto distorto di discernimento) e tutto, alla fine, relativizza.

La riprova sta nel successo che Bergoglio riscuote tra i lontani, i quali si sentono confermati nella loro lontananza, mentre i vicini, disorientati e perplessi, non si sentono affatto confermati nella fede.

Gesù in materia è piuttosto esplicito. “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6, 26). “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo” (Lc 6, 22).

Ogni tanto torna alla ribalta una voce secondo cui anche Bergoglio, come Benedetto XVI, penserebbe di dimettersi. Io credo che non abbia in programma nulla di simile, ma il problema è ben altro. Il problema è che Bergoglio si è reso protagonista, di fatto, di un processo di dismissione dai compiti di Pietro.

Ho già scritto altrove che Bergoglio è ormai diventato il cappellano delle Nazioni Unite, e ritengo che questa scelta sia di una gravità inaudita. Tuttavia, ancora più grave della sua adesione all’agenda dell’Onu e al politicamente corretto è che abbia rinunciato a parlarci del Dio della Bibbia e che il Dio al centro della sua predicazione sia un Dio che discolpa, non che perdona.

La crisi della figura paterna e la crisi del papato vanno di pari passo. Così come il padre, rifiutato e smantellato, è stato trasformato in un generico accompagnatore privo di qualsiasi pretesa di indicare una strada, allo stesso modo il papa ha smesso di farsi portatore e interprete dell’oggettiva legge divina ed ha preferito diventare un semplice compagno.

Pietro, così, è svaporato proprio quando avevamo più bisogno che ci mostrasse Dio in quanto padre a tutto tondo: padre amorevole non perché neutrale, ma perché giudicante; misericordioso non perché permissivo, ma perché impegnato a mostrare la strada del vero bene; pietoso non perché relativista, ma perché desideroso di indicare la via della salvezza.

Osservo che il protagonismo nel quale indulge l’ego bergogliano non è una novità, ma risale in buona parte alla nuova impostazione conciliare, antropocentrica, a partire dalla quale papi, vescovi e chierici hanno anteposto se stessi al loro sacro ministero, la propria volontà a quella della Chiesa, le proprie opinioni all’ortodossia cattolica, le proprie stravaganze liturgiche alla sacralità del rito.

Questa personalizzazione del papato è diventata esplicita da quando il Vicario di Cristo, volendo presentarsi come “uno come noi”, ha rinunciato al plurale humilitatis con il quale dimostrava di parlare non a titolo personale, ma assieme a tutti i suoi predecessori e allo stesso Spirito Santo. Pensiamoci: quel Noi sacro, che faceva tremare Pio IX nel proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione e san Pio X nel condannare il modernismo, non avrebbe mai potuto essere usato per sostenere il culto idolatrico della pachamama, né per formulare le ambiguità di Amoris laetitia o l’indifferentismo di Fratelli tutti.

Circa il processo di personalizzazione del papato (al quale l’avvento e lo sviluppo dei mass media hanno dato un importante contributo), occorre ricordare che vi fu un tempo in cui, almeno fino a Pio XII incluso, ai fedeli non importava chi fosse il papa, perché comunque essi sapevano che, chiunque fosse, avrebbe sempre insegnato la stessa dottrina e condannato gli stessi errori. Nell’applaudire il papa essi applaudivano non tanto colui che in quel momento era sul santo soglio, ma il papato, la regalità sacra del Vicario di Cristo, la voce del Supremo Pastore, Gesù Cristo.

Bergoglio, che non gradisce presentarsi come successore del principe degli apostoli e, sull’Annuario pontificio, ha fatto mettere in secondo piano l’appellativo di vicario di Cristo, implicitamente si separa dall’autorità che Nostro Signore ha conferito a Pietro e ai suoi successori. E questa non è una mera questione canonica. È una realtà le cui conseguenze sono gravissime per il papato.

Quando tornerà Pietro? Quanto a lungo Roma resterà senza papa? Inutile interrogarci. I disegni di Dio sono misteriosi. Possiamo solo pregare il Padre celeste dicendo: “Sia fatta la tua volontà, non la nostra. Ed abbi pietà di noi peccatori”.

Dal blog di Aldo Maria Valli
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DIGIUNO E ASTINENZA: perchè, quando, come...

16/2/2021

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SENSO E SCOPO DEL DIGIUNO QUARESIMALE
 
Il digiuno quaresimale ha certamente una dimensione fisica, oltre l'astinenza dal cibo, può comprendere altre forme, come la privazione del fumo, di alcuni divertimenti, della televisione,... Tutto questo però non è ancora la realtà del digiuno; è solo il segno esterno di una realtà interiore; è un rito che deve rivelare un contenuto salvifico, è il sacramento del santo digiuno. Il digiuno rituale della Quaresima:
 
- è segno del nostro vivere la Parola di Dio. Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio, sull'esempio di Cristo, che disse: "Mio cibo è fare la volontà del Padre";
 
- è segno della nostra volontà di espiazione: "Non digiuniamo per la Pasqua, né per la croce, ma per i nostri peccati, ... " afferma san Giovanni Crisostomo;
 
- è segno della nostra astinenza dal peccato: come dice il vescovo sant'Agostino: "Il digiuno veramente grande, quello che impegna tutti gli uomini, è l'astinenza dalle iniquità, dai peccati e dai piaceri illeciti del mondo, ...".
 
In sintesi: la mortificazione del corpo è segno della conversione dello spirito.

 
INDICAZIONI PRATICHE DEL DIGIUNO E DELL’ASTINENZA
 
- il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo sono giorni di digiuno* dal cibo e di astinenza* dalla carne e dai cibi ricercati o costosi.

- i venerdì di Quaresima sono giorni di astinenza dalla carne e dai cibi ricercati o costosi.

- negli altri venerdì dell’anno, i fedeli possono sostituire l'astinenza dalla carne con altre opere di carattere penitenziale.

ASTINENZA E DIGIUNO: LE DIFFERENZE

- L'astinenza «proibisce l'uso delle carni, non però l'uso delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento anche di grasso di animale» (Paolo VI, Cost. apost. Paenitemini, 17 febbraio 1966).

- Il digiuno «obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera» (ivi). Sono esclusi piccoli snack o bevende (caffe, ecc…) durante la giornata. L’acqua è consentita.

CHI DEVE OSSERVARE DIGIUNO E ASTINENZA

Sono tenuti ad osservare il digiuno tutti i maggiorenni fino al 60esimo anno d'età, e a praticare l'astinenza tutti coloro che abbiano compiuto i 14 anni, in tutti i casi fatte salve particolari situazioni personali e di salute.

Chi non rispetta questo precetto commette peccato grave.

NB: anche coloro che non sono tenuti all'osservanza del digiuno, i bambini e i ragazzi, vanno formati al genuino senso della penitenza cristiana.

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VALIDITA' E LICEITA' DELLA MESSA - “Non stacchiamoci dal Corpo, non formiamo fazioni”

5/12/2020

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Una riflessione, di un sacerdote, sulle affermazioni di don Minutella sulla validità e liceità della Messa in comunione con papa Francesco: non aggiungiamo zizzania alla zizzania.

Mi sembra doveroso dedicare un articolo su una questione teologica – di non poca importanza – sollevata dal confratello don Alessandro Minutella.
Premetto che non provo sentimenti negativi nei confronti di don Alessandro.
Non spenderò parole riguardo alle due scomuniche e al valore che esse possano avere nell’ottica di questo articolo. Quello che posso affermare è che la logica mi suggerisce che sia un Sacerdote comunque mosso da sincerità, serietà e zelo per il Vangelo.
La gerarchia, mi rincresce dirlo, non si è mai preoccupata di incontrarlo, discutere su basi realmente dottrinali e quali fossero i punti da lui sollevati. Punti che in parte condivido io stesso.
Nonostante tutto, in questa dissertazione, desidero uscire da un ottica emotiva, opinionistica, e allontanarmi possibilmente dallo schierarsi a favore o meno di Minutella: tali prese di posizione – ho potuto riscontrare – sono inficiate spesso da pregiudizi o considerazioni sommarie.
Scrivo questo come introduzione all’argomento poiché in rete ho visto un esagerato, per l’appunto, schierarsi in fazioni, anche tra chi cerca di difendere la Tradizione.

È doveroso affrontare alcune questioni sulla base di elementi dottrinali e canonici.
Purtroppo, come suppongo i lettori ne soffriranno, le dispute religiose ormai si basano su tutt’altro, alimentate dal circo mediatico.
La principale argomentazione che voglio affrontare in questa sede è quella più cruciale: l’una cum papa Francisco.
Rifletto su questo tema da parecchio tempo: sono perplesso sulla tesi portata avanti con forza dal confratello Minutella.
In un articolo pubblicato da Marco Tosatti viene citata una parte del nuovo libro di  don Alessandro 'Pietro dove sei?' dedicata al tema dell’una cum.
In esso don Minutella pone una questione: è lecito per i fedeli laici partecipare alla Messa in comunione con papa Francesco? Nel suo libro il confratello parte dal presupposto che il papa sia caduto più volte nell’eresia.
Innanzitutto mi conforta il fatto che don Alessandro non abbia più definito invalida qualsiasi Messa celebrata in unione con papa Francesco, ma che attualmente faccia riferimento alla sola liceità. Purtroppo definire invalida qualsiasi Messa celebrata in qualsiasi Chiesa al mondo risultava un errore davvero troppo grossolano per un Teologo del suo calibro. Lui stesso infatti ha successivamente ammesso: “Il proclama di una messa invalida in comunione con papa Francesco è stato un tentativo pastorale estremo per evitare che i fedeli cattolici si macchiassero di tale grave colpa, come quando una mamma minaccia l’arrivo del mostro se il bambino vuole a tutti i costi esporsi al pericolo”.
Tentativi pastorali per mettere in guardia i fedeli, quindi.
Tuttavia don Alessandro non ha considerato i danni pastorali che si sono generati. Riporto un esempio tratto da esperienza personale: alcuni fedeli di mia conoscenza non vanno più a Messa la domenica proprio perché pensano che la Messa non sia valida, venendo nominato nell’una cum papa Francesco.
Quindi, all’atto pratico: se non trovano una Messa vetus ordo in zona, preferiscono stare a casa. Questo, al contrario, è commettere un peccato. Si passa dalla padella alla brace.
Sono tre gli aspetti che vorrei sottolineare.
Primo: molti fedeli che prima si comunicavano regolarmente ora non lo fanno più con la stessa costanza; secondo: sappiamo bene che se un’anima smette di comunicarsi con frequenza gli attacchi del demonio sono sempre maggiori e maggiori sono le circostanze di caduta nel peccato; Terzo: a un umile prete e pastore di anime come don Alessandro chiedo: come puoi permettere che i fedeli restino senza lo scudo spirituale dell’Eucaristia, in balia delle onde – o cavalloni direi -, dello smarrimento, della confusione, della rabbia, tutte cose che rendono il terreno fertile per la semina del nostro nemico?
In questi casi dobbiamo avere il coraggio di fare nostre le parole di San Paolo: “Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli” (Rm 9,3). Dal testo greco abbiamo: “ηὐχόμην γὰρ ⸂ἀνάθεμα εἶναι αὐτὸς ἐγὼ⸃ ἀπὸ τοῦ Χριστοῦ ὑπὲρ τῶν ἀδελφῶν μου τῶν συγγενῶν μου κατὰ σάρκα”. Dove i termini chiave di riflessione sono:
anathema: oggetto di maledizione;
ego apò toù Kristoù: separato da Cristo.
Questa parola di San Paolo ci fa riflettere seriamente – mi rivolgo in particolare ai Sacerdoti -: preferire piuttosto l’essere considerato oggetto di maledizione e separato da Cristo a vantaggio dei fratelli.
Don Alessandro, comprendo i tuoi sentimenti. Oggi regna una confusione mai avvenuta prima d’ora nella Chiesa. Ma occorre essere talvolta pronti a fare un passo indietro, a vantaggio delle anime che ci sono state affidate. Le anime possono restare turbate e confuse. E come dicevo poco fa, questo stato di cose può rendere fertile il terreno per il nemico.
Ora parliamo di un altro aspetto – per molti cruciale – su cui Don Alessandro fonda il suo pensiero. Egli scrive: “Un cattolico non può andare a Messa disinteressandosi di chi sia veramente il papa, quando ne esiste più di uno!”
Secondo quanto egli afferma, un fedele che partecipa alla Messa nella quale si nomina papa Francesco cadrebbe in stato di peccato, sulla base della convinzione che papa Bergoglio sia eretico, un anti-papa, e la Messa celebrata invalida/illecita.

Innanzitutto voglio fare profonda chiarezza su questo punto.
Il papa è sempre uno solo. Ed è papa Francesco, che ci piaccia o meno.
Il fatto che Benedetto XVI abbia introdotto per la prima volta la presenza di un ministero petrino non attivo e soltanto spirituale  non elimina in alcun modo la realtà delle sue dimissioni (abdicazione) da papa attivo e, di conseguenza, da guida concreta e visibile della Chiesa. Si legga a tal proposito ciò che resta agli atti: la declaratio di rinuncia .
Si collega a questo punto del discorso un altro anello: la validità del conclave 2013, definito da molti invalido in quanto manipolato da vizi di forma o sostanza.
Per decretare la nullità di un conclave non sono sufficienti le ipotesi giornalistiche e nemmeno le rivelazioni private. Questo, don Alessandro, lo sai molto bene.
Per rendere nullo un conclave – atto gravissimo e drammatico – devono sussistere delle condizioni precise. Consiglio a riguardo la lettura di questo articolo del professor Guido Ferro Canale.
Come non citare la discutibile elezione, verosimilmente comprata, di Alessandro VI nel 1492, per la quale fu accusato di simonia? Tuttavia fu eletto, divenne papa, e nessuno lo ha potuto spodestare.
Possiamo permetterci di giudicare il suo comportamento morale definendolo discutibile?
Indubbiamente ci possiamo ragionare, ma sarà Dio a giudicare. Ma fu papa: e mai cadde in eresia.
Veniamo all’oggi e a papa Francesco.
Ripeto, che la cosa piaccia o meno, Jorge Mario Bergoglio è papa fino a comprovata e formale prova contraria. Io stesso resto perplesso e confuso davanti a certe sue affermazioni.
Appurato questo, qualcuno di noi può affermare inderogabilmente che Papa Francesco si sia mai espresso in modo eretico ex cathedra?
Negativo. Per questo non è formalmente eretico.
Sul fatto che faccia affermazioni altamente discutibili – in modo del tutto personale – non ci piove.
Ma l’accusa di eresia e l’eventuale deposizione di un pontefice deve seguire un percorso preciso nella Chiesa. Egli allo stato attuale non può essere definito formalmente un papa eretico, ripeto.
Di conseguenza non può avere fondamento l’affermazione di don Alessandro “il fedele pecca se partecipa a una Messa una cum con Francesco”, riprendendo erroneamente alcuni concetti espressi da san Tommaso D’Aquino.
Un papa può sbagliare? Certamente. Un papa è’ infallibile solo ed esclusivamente quando si esprime ex cathedra in materia di fede e di morale. Quindi non in una intervista, non in un reportage cinematografico, o in qualsiasi altra forma. Il fedele può non abbracciare un’affermazione del papa, se considerata sviante dalla Dottrina e detta fuori dal contesto ex cathedra, ma non può arrogarsi il diritto di non riconoscerlo come papa regnante, vicario di Cristo.
(Lo stesso atteggiamento deve valere nel giudizio nei confronti della Chiesa stessa. Definirla una multinazionale della vergogna non è un atteggiamento caritatevole e fruttifero. Voglio fare un esempio per chi ha lo stomaco forte: pensate a un figlio che insultasse la propria madre, definendola una puttana, nonostante gli sbagli che possa aver commesso di fronte al figlio. Non cade forse egli stesso in un peccato grave?).
Ricordiamo che anche san Pietro sbagliò pesantemente. In Matteo 26,72 troviamo l’emblema dello sbaglio di Pietro: il rinnegamento. Pietro dice di Gesù: “Non conosco quell’uomo”. In greco: “Οὐκ οἶδα τὸν ἄνθρωπον”; “ouk oìda tòn antropon”; “ouk oida”: non conosco. Pietro afferma, davanti a una giovinetta, di non conoscere Gesù.
Questo dopo aver visto i miracoli e le sue opere straordinarie – la moltiplicazione dei pani e dei pesci, le risurrezioni, i ciechi guariti alla vista, gli storpi raddrizzati -, dopo aver lui stesso camminato sull’acqua, dopo essere stato nominato papa direttamente da Cristo. Dopo tutto questo vissuto, Pietro dice: non lo conosco.
Cristo Gesù di contro come reagisce? Lo solleva dal mandato di papa? Lo accusa di essere falso cacciandolo? Al contrario, lo guarda con misericordia. E da questo Pietro ricomincia e si converte.
La Chiesa non è guidata da noi uomini e nemmeno i ministri di Dio possono prendere il posto di Dio, poiché la Chiesa è sempre e comunque guidata dallo Spirito Santo.
Chi non crede in questo manifesta un’aperta sfiducia nei confronti di quanto Gesù ha promesso (non praevalebunt).

È interessante una frase di san Vincenzo de Lerins: “Dio alcuni Papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”. Ma sempre papi restano.
E ancora sulla questione una cum, nonostante gli errori di traduzione, nonostante quello che si possa pensare della pastorale di papa Francesco, il dovere di andare a Messa non è sindacabile.
Rechiamoci in Chiesa e riceviamo Gesù Eucaristia, come di dovere per un cattolico!
Adoriamolo nel Santissimo Sacramento, che, ricordo, è valido. Chi afferma il contrario incorre in gravissimi errori: state ben attenti alla zizzania che il nemico vuole portare. Non aggiungetene ulteriormente!
Chi gradisce la Messa vetus ordo sia benedetto e partecipi al rito antico. Ma se non ci fosse a disposizione, si cade nel peccato non recandosi a Messa! Sono le basi del Catechismo, amici.
Andare a Messa non è peccato. È un obbligo!
Sono certo che questo articolo farà venire molti mal di pancia ai sostenitori di don Alessandro, ma reputo necessario approfondire determinati aspetti.
La lotta deve essere fatta dall’interno, nella resistenza, non staccandosi dal Corpo, formando fazioni di fazioni di fazioni. Chi una variante, chi l’altra. Facciamo solo il gioco del nemico.
Lasciamo al Maestro, Gesù Cristo, decidere quando e come risolvere qualsiasi frattura nella sua Chiesa, resistendo e rimanendo ancorati agli insegnamenti di sempre.

Retropensiero dell’autore (Aldo Maria Valli)
IB: “Duilio, spero che i lettori non abbiano frainteso le mie parole, che non mi bòllino come membro di qualche precisa fazione; sai…è un momento di grande confusione nella Chiesa…”
D: “Non riesco a capire, sir, se rischio partecipando alla Messa. Chitarre, bonghi, “non abbandonarci” invece di “non ci indurre”, “rugiade”, inchini di pace, disinfettante invece dell’acqua Santa, omelie sulla raccolta della plastica, l’inferno è vuoto…ho mal di testa…”
IB: “Duilio, ti faccio una domanda: Gesù Sacramento è nel Tabernacolo?”
D: “Si, sir, lo è!”
IB: “E vuoi lasciarlo solo in mezzo a questo casino?!”]*
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IL SIMBOLO DELLA FEDE

10/11/2020

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Da una bellissima lettura di un brano sulla nostra professione di Fede, san Cirillo di Gerusalemme ci aiuta a capire come dobbiamo muoverci in questi tempi oscuri....

Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523)

Il simbolo della fede

Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.

Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal 1, 8).

Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento.

Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore.

Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate. Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di ciò che vi è stato donato.

«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservate intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.

Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.

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